La Virtù difende il Sapere (?) dall’Ignoranza e dal Vizio

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AutoreAntonio Balestra
Periodo(Verona 1666-1740)
SupportoTela, 131x172
InventarioA 1187
Autore della schedaAndrea Tomezzoli

Il soggetto, di carattere allegorico-moraleggiante, non è di facile interpretazione. Solo la figura alata in secondo piano è identificabile con la Virtù, per la presenza della lancia e della corona di alloro.  Essa si protende a difendere una figura maschile, forse il Sapere, per la presenza del libro aperto, del compasso e della squadra. I personaggi sono disposti su piani diagonali, con azzardati scorci prospettici. La padronanza compositiva è sostenuta dalla correttezza del disegno e dall’accostamento brillante dei colori.

Il dipinto rivela un’energia barocca forse acquisita dal Balestra nel periodo trascorso a Roma, prima dell’operosa stagione veneziana.

Descrizione figurativa

In questo dipinto di Antonio Balestra (1666-1740) emergono con forza e dotate di un'energia tipicamente barocca due figure preminenti: una, alata, che tiene sulla destra una lancia e nella sinistra una corona d'alloro, rappresenta la virtù, tutta protesa a difendere l'altra, seminuda e maschile, che tiene la destra su un libro su cui sono posati un compasso ed una squadra e che secondo molti studiosi rappresenterebbe il sapere. Con il piede quest'ultimo sembra voler allontanare una terza immagine, di cui si notano solo la testa ed un braccio proteso in alto e che rappresenterebbe il vizio. Tutti i personaggi vengono dipinti come sospesi in un cielo nuvoloso, con azzardati scorci prospettici ed accostamenti di colori particolarmente brillanti.

Descrizione audio

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Provenienza

Venezia, palazzo Zenobio ai Carmini, fino agli anni quaranta del secolo XIX; Albettone, Villa Negri, secolo XIX, metà; acquisto del Comune di Vicenza dal Comune di Albettone, 1955 (vedi campo provenienza cat. 137)

Restauri

1970, Giuseppe Giovanni Pedrocco; 2001, Francesca Mariotto

Descrizione tecnica

Il soggetto del dipinto, di carattere allegorico-moraleggiante, non si presenta del tutto palese: solo la figura alata in secondo piano, contraddistinta da una corona di alloro nella sinistra e da una lancia nella destra, è chiaramente identificabile con la Virtù, sulla base delle puntuali corrispondenze con le prescrizioni dell’Iconologia di Cesare Ripa che la descrive anche con un disco solare sul petto. Il suo slancio è tutto proteso nella difesa del personaggio virile, forse la personificazione del Sapere per la presenza del volume squadernato e degli strumenti scientifici; alcuni attributi, tuttavia, il manto violaceo che lo copre, il compasso, il regolo, sono comuni pure al Giudizio (Cecchini, 1976, ad vocem). L’opera è stata resa nota nel 1972 con un’attribuzione dubitativa al vicentino Bartolomeo Cittadella (1636-1704) che ha ottenuto consensi anche in tempi recentissimi, quantunque Margaret Binotto (1979-1980) per prima abbia proposto di riconoscervi la mano di Antonio Balestra. Escluso Cittadella, che mai arriva a livelli tanto elevati, l’autore, di indubbia estrazione veneta, si dimostra padrone di una notevole cultura visiva che spazia dalle historie a mezze figure di Antonio Molinari alle mitologie raffinate e sensuali di Antonio Bellucci, il tutto governato da una solida formazione accademica, ben evidente nella sicurissima orchestrazione compositiva, nell’impeccabile correttezza del disegno, nella plastica evidenza della figura maschile in primo piano che, atteggiata secondo le pose “difficili” dei modelli della scuola del nudo, si direbbe studiata direttamente su esempi carracceschi. Gli alti esiti formali consentono di inserire a pieno titolo questo dipinto fra i più interessanti episodi del panorama artistico lagunare dell’ultimo decennio del seicento. Per tutti questi caratteri nessun nome sembra porsi come valida alternativa a quello di Balestra. Ciò che, di primo acchito, sembra meno convincentemente riconducibile al veronese - per esempio l’incastro di volumi, di solito dipanato in ritmi meno serrati nel Balestra più noto - pare da ricondursi ad un ancoraggio cronologico abbastanza precoce, come si puntualizzerà più sotto. Numerosi, d’altra parte, i riscontri con l’opera certa di Balestra, a cominciare dalla figura riversa, ripresa di spalle, che rimanda alla Caduta dei Giganti, il disegno con cui l’artista nel 1694 aveva vinto il primo premio all’Accademia di San Luca a Roma (Ghio-Baccheschi, 1989, p. 203, cat. 54). Proprio l’esperienza romana, nutrita degli insegnamenti di Maratta e dello studio appassionato “da Raffaele, Caracci, e dall’antico continuamente nella loggia de’ Chigi, stanze Vaticane, Galleria Farnese, Gabinetto ed altri luoghi per Roma” (Pascoli, ed. 1981, p. 123), emerge con tutta chiarezza nella calibrata invenzione allegorica; la costruzione per diagonali contrapposte, lo stesso nudo scorciato a misurare la profondità spaziale sono elementi ricorrenti nel corpus balestriano, qui sorretti da una vis, da un’energia barocca che nelle opere più avanzate si stempererà in modi più addolciti e arcadici, anche sotto il profilo della caratterizzazione psicologica. L’Allegoria vicentina fa parte di un gruppo di ben trentatre opere provenienti da villa Negri, Salvi (poi Palazzo comunale) di Albettone (Vicenza), acquisite dal Comune di Vicenza nel 1955, come documenta il copioso dossier conservato nell’Archivio storico del Comune di Vicenza (ASCVi, Categoria V, Classe 1, prot. 28595 del 1956), individuato grazie alla cortese disponibilità di Antonio Ranzolin. Le disastrose condizioni della villa avevano indotto il Comune di Albettone ad alienarne l’arredo pittorico per poter procedere al risanamento dello stabile con il ricavato della vendita: l’acquisto da parte dell’Amministrazione pubblica di Vicenza veniva formalizzato nella seduta del consiglio comunale del 12 ottobre 1955. Una sorta di inventario manoscritto con data 15 novembre 1954, evidentemente steso in previsione dell’affare, riporta un elenco dei dipinti in oggetto - il nucleo più cospicuo era costituito da un ciclo di Carpioni, proveniente dal palazzo vicentino dei Negri a Santo Stefano - e la loro collocazione negli ambienti della villa. L’Allegoria balestresca va senza dubbio riconosciuta (nonostante un piccolo scarto di misure) nella prima voce della lista: “1 Rettangolo di circa cm 170x130: Scena mitologica”, collocata nello “Scalone: soffitto centrale”. A una fotografia della Soprintendenza ai Monumenti di Venezia (neg. 10377) è affidato il ricordo visivo della collocazione originaria del quadro ad Albettone, incastonato nel soffitto dello scalone entro cornici in stucco neo-settecentesche e accompagnato agli angoli da quattro ovali raffiguranti Amorini con gli attributi delle arti (Musica, Pittura, Scultura, Poesia?). Queste più piccole tele, di diversa mano, sono state reimpiegate, insieme ad altre del ciclo di Albettone, nella decorazione soffittale della cosiddetta Sala degli stucchi in palazzo Trissino-Baston a Vicenza, rovinata dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Risultano in situ il 25 maggio 1956 (vedi anche Barbieri, 1996, p. 244). Spetta a Ruggero Rugolo (cat. 313 A 1226; Rugolo, in Louis Dorigny…, 2003, pp. 115-116, cat. 17) aver formulato l’ipotesi che perlomeno due riquadri da soffitto - provenienti da villa Negri Salvi e ora al Museo civico - in realtà fossero stati realizzati per Ca’ Zenobio a Venezia, nel corso dell’ottocento appartenuta agli stessi Salvi proprietari della villa di Albettone. In quest’ultima sede sarebbero pervenute con ogni probabilità al momento del passaggio del celebre palazzo veneziano ai Padri Armeni Mechitaristi che tuttora lo occupano. È accertato che anche Antonio Balestra è intervenuto a Ca’ Zenobio, sulla scorta delle note biografiche di Lione Pascoli (ed. 1981, p. 112), che la critica ha correlato a due soffitti allegorici fino a non molti anni fa ancora visibili nella dimora veneziana (Ghio-Baccheschi, 1989, p. 24, cat. 145): la loro citazione, nelle fonti, tra l’Annunciazione per Santa Teresa degli Scalzi a Verona del 1697 e il viaggio in Lombardia ed Emilia del 1700, implica una datazione agli ultimi anni del secolo, pertinente anche alla tela in esame. Un elemento della nostra Allegoria deve essere comunque rilevato su un piano prettamente stilistico, come suggerisce ancora Ruggero Rugolo: il protagonista maschile, infatti, si presenta sotto le sembianze della Notte nell’affresco che Louis Dorigny (1654-1742) andava eseguendo presumibilmente negli stessi anni sul soffitto del salone di Ca’ Zenobio. Balestra, fra l’altro, ne riproporrà la felice invenzione del braccio fasciato e alzato a schermare il volto - reminiscenza dei telamoni della Galleria Farnese - nella figura di Titone, in una tela di pochi anni più tarda (Ghio-Baccheschi, 1989, p. 210, cat. 80). La stessa precisa definizione formale e la conduzione luministica a profilature luminescenti costituiscono un punto di contatto tra i due artisti. L’impossibilità di una visione diretta di tutti gli ambienti di Ca’ Zenobio, tuttavia, impedisce di verificare la suggestiva ipotesi di una provenienza lagunare del dipinto. In quest’ottica di ricerca andrà considerato che la tela in origine forse si presentava leggermente più ampia: il recente restauro, inoltre, ha provveduto a liberarla di una fascia perimetrale, probabilmente aggiunta al momento di adattarla al soffitto di villa Negri Salvi.

Bibliografia

Barioli, in Il Restauro a Vicenza…, 1972, p. 109, n. 174 (Bartolomeo Cittadella?, Allegoria); Binotto, 1979-1980, p. 56 (La Vittoria incorona la Sapienza nell’atto di respingere l’Ignoranza); Martini, 1982, p. 472, nota 38 (Allegoria del Merito contro il Vizio?); Ghio-Baccheschi, 1989, p. 217, n. 109 (attribuito a Balestra, Allegoria); Barbieri, 1995, p. 104 (Bartolomeo Cittadella?, La Volontà e il Sapere cacciano i Vizi); Magani, 1995, p. 19 (Bartolomeo Cittadella, La Virtù difende il Giudizio dai Vizi); Fossaluzza, 1997, pp. 174, 176 (Bartolomeo Cittadella, La Virtù difende il Giudizio dai Vizi); Rugolo, in Louis Dorigny…, 2003, p. 116.

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