Sacra Famiglia con i santi Elisabetta e Giovannino

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AutoreProspero Fontana
Periodo(Bologna 1512 - 1597)
SupportoTavola, 120,3x105
InventarioA 194
Autore della schedaMauro Lucco

La tavola, inserita in una cornice a volute dorate del tardo Seicento, è giunta in Museo insieme alle altre opere provenienti dalla quadreria della nobile vicentina Paolina Porto Godi. A lungo esaminato da studiosi e critici, che hanno espresso le opinioni più disparate circa la sua attribuzione, il dipinto è stato riferito al pittore bolognese Prospero Fontana, che lo avrebbe eseguito nel biennio 1539-1540.

Si tratta di un’immagine quasi feriale e domestica della Sacra Famiglia, qui ritratta alla presenza di santa Elisabetta e di san Giovannino. Il Bambino sgambetta vivace, stretto nel tenero abbraccio della Madre che lo sorveglia con sguardo amorevole, mentre alle loro spalle compare un anziano san Giuseppe, che osserva compiaciuto i primi movimenti del Figlio. Il volto rugoso di santa Elisabetta, qui ritratta come una vecchia levatrice, è addolcito dal tenero sorriso che le affiora sulle labbra mentre, appoggiata sul bordo della culla, si protende verso il Bambino. Solo san Giovannino, tenendo le mani giunte, si inginocchia in segno di adorazione, consapevole dell’identità e del destino del Neonato.

Si tratta di “un’immagine di serenità, cui aggiunge fascino la primaverile, cantabile lucentezza dei colori a stacco, a volte cangianti, certo di origine vasariana, ma non immemori, ancora una volta, nell’attento stemperare zone chiare su zone più scure, di quel che era stato, ed era, uno dei segreti della pittura veneta” (Lucco).

Cartellini

1946 N. 24932; 1954 N. 8094; su carta bianca, a stampa con inchiostro nero Museo - Vicenza N. 120

Provenienza

legato Paolina Porto Godi, Vicenza 1826

Restauri

1985, Antonio Bigolin; 1995, Antonio Bigolin

Inventari

1826: 19. Camera a mattina sopra il Corso. Pittura in tavola, Maria vergine col Bambino e santi Gioacchino, Anna e Giovanni Battista. Scuola di Raffaello. Lire 350; 1831: 7. Residenza attuale del podestà. Scuola Rafaello. Maria vergine col Bambino, san Gioachino etc. Galleria Porto, n. 4321 del 1826, 19; [post1834]: 68. Scuola di Raffaelle. La beata Vergine col Bambino, san Gioachino, sant’Anna e san Giovannino, 113; 1854: 113. 1.79. 1.55. Scuola di Rafaelo. Beata vergine, Bambino e altri santi; [1873]: Seconda stanza a tramontana, parete dello ingresso, 32 (34). Baroccio Federico da Urbino nato 1528 morto 1612, Daniele da Volterra nato 1509 morto 1566; Andrea del Sarto nato 1488 morto 1530. Maria vergine col Bambino, san Giuseppe, sant’Anna, san Giovannino; 1873a: c. 4, 31. Ignoto. Maria vergine col Bambino, san Giovannino, san Gioacchino e sant’Anna; 1902: c. 35, 159 (149). 151. Sacra famiglia. Tavola ad olio. Alto 1.22, largo 1.25. Scuola fiorentina o raffaellesca, Angiolo Bronzino. Guasto. Non buona. Legato contessa Carolina Porto. Il prof. Cantalamessa lo ritiene di Angelo Bronzino; 1907: c. 17, 151 (149). Scuola fiorentina, raffaellesca [corretto su Angiolo Bronzino]. Sacra famiglia. Tavola 1.22x1.25. Legato contessa Carolina Porto. Da alcuni ritenuto di Angelo Bronzino; 1908: 149 (194). Scuola raffaellesca (Angelo Bronzino?). Sacra famiglia. Nel 1908 si trova nella seconda stanza a sinistra; 1910-1912: 194 (199), esposto. Numerazione vecchia: 149 numerazione della Commissione d’inchiesta 1908; 159 catalogo 1902; 194 catalogo 1912; 194 catalogo 1940; 194 inventario 1950. Collocazione: I sala degli italiani. Forma e incorniciatura: rettangolare e incorniciatura dorata. Dimensioni: 1.22x1.05; inventario 1950 1.31x1.08. Materia e colore: tavola. Descrizione: Sacra famiglia; Madonna col Bambino, sant’Anna, san Giuseppe e san Giovannino. Autore: scuola fiorentina o raffaellesca (attribuzione del catalogo 1902); Angelo Bronzino? (prof. Cantalamessa); maniera del Bronzino; catalogo 1912 maniera del Bronzino; catalogo 1940 maniera del Bronzino; inventario 1950 manierista toscano (per G. Fiocco Francesco Torbido); W. Arslan copia di fiammingo coevo a Rubens da un manierista italiano della prima metà del secolo XVI; prof. Philip Pouncey del British Museum (comunicazione orale 19.9.57) Prospero Fontana?; prof. Philip Pouncey del British Museum (comunicazione orale 21.5.63) Prospero Fontana?

Descrizione tecnica

La vicenda critica dell’opera è assai più articolata e complessa di quanto non appaia scorrendo la bibliografia relativa: questa, infatti, non dà conto di tutte le idee ed ipotesi avanzate, e anzi lo snodo fondamentale di quella storia, l’attribuzione a Prospero Fontana, che ha reso l’opera, nell’ultimo ventennio, un caposaldo indispensabile per la valutazione di questo pittore, semplicemente non c’è, perché essa fu per la prima volta pronunciata a voce. Vi è inoltre un curioso sdoppiamento di circuiti culturali, dovuto alle differenti specole; gli studiosi d’arte veneta solo recentemente hanno accolto l’indicazione bolognese, quelli di arte bolognese sembrano credere che l’opera sia emersa cinquant’anni fa dal nulla, ignorando del tutto il troncone veneto. Ma procediamo con ordine.

Sebbene si sia quasi sempre ripetuto che nulla si sapeva del dipinto fino al 1902, è chiaro oggi che esso si deve identificare con quello n. 19 del legato di Paolina Porto Godi del 1826, riferito allora alla “scuola di Raffaello”; etichetta mantenuta fino al 1873, quando, annaspando in un mare poco conosciuto, spuntano contemporaneamente i nomi del Baroccio, di Daniele da Volterra e di Andrea del Sarto, che sono certo troppo dire, e, dal punto di vista della cronologia, in aperto contrasto. Nel 1902 appare invece un’idea, suggerita oralmente da Giulio Cantalamessa, destinata a qualche miglior fortuna: quella in favore di Agnolo Bronzino, che si protrae nei cataloghi e negli inventari sino a circa il 1950, anche sotto il declassamento a “scuola del Bronzino”. Nel 1915, Giuseppe Fiocco² proponeva invece il riferimento al veronese Francesco Torbido, in collaborazione con Battista del Moro; idea ripresa e ripetuta dalla Viana (1933), dal Suida (1939) e dal Brenzoni (1972), ma negata dalla Repetto Contaldo (1984), benché il suo proponente l’avesse oralmente ribadita di nuovo, già in presenza della soluzione corretta, nel 1958. Nel 1934, Arslan inventava la complicatissima spiegazione che si sarebbe trattato di un pittore nordico, dell’età di Rubens (dunque nel primo seicento), che copiava un’opera manieristica italiana della prima metà del cinquecento; un’idea che nemmeno lo strato di sudicio (che rendeva quasi illeggibile il fondo, facendo scomparire la tenda, e appiattiva tutte le figure) col quale l’opera appare nel catalogo Barbieri del 1962, poteva rendere del tutto giustificata. Ma lo stesso studioso, quindici anni dopo, rettificava il tiro, pensando ad un pittore emiliano verso il 1550, e avviando il problema verso una più logica soluzione; raggiunta appena otto anni dopo, allorché Philip Pouncey suggerì oralmente il riferimento a Prospero Fontana. Questa idea parve poco convincente al Barbieri (1962), che preferì l’etichetta di “pittore veneto (emiliano?)”, e alla Ballarin (1982), che, riprendendola, suggeriva una data intorno al 1530 praticabile soltanto se si crede all’ipotesi Torbido; come del resto aveva fatto recentemente il Brenzoni (1972). Per i miei stessi ricordi personali, l’appoggio convinto alla paternità del Fontana che Carlo Volpe esprimeva a voce, attorno alla metà degli anni settanta, pareva, ai suoi pur autorevolissimi interlocutori di parte veneta, un giudizio quasi marziano. A partire dagli anni ottanta, tuttavia, e in special modo dopo il restauro del 1986, che ha restituito all’opera le sue metalliche lucentezze ed i colori antinaturalistici tipici della “maniera moderna”, essa si è imposta come un capolavoro in quello stile, e un monumento imprescindibile nel catalogo di Prospero Fontana; e oggi nessuno dubita più di tale paternità.

Anche rispetto alla datazione i pareri, un tempo piuttosto diversi, sembrano avviarsi verso una forma di unanimità. Come s’è detto, pensando al Torbido, ci si era indirizzati attorno al 1530; naturalmente, più o meno allo stesso tempo l’opera doveva collocarsi nell’ipotesi di Agnolo Bronzino, e persino in quella di “scuola di Raffaello”. L’idea di Arslan del 1934 ritardava tutto di circa un secolo; giustamente, ha ricevuto poi più credito la data attorno al 1550, proposta dallo stesso studioso, legata all’ipotesi di “scuola emiliana”. È questa, infatti, la collocazione seguita anche dalla Fortunati Pietrantonio (1981), che la metteva in collegamento con l’Adorazione dei Magi di Berlino (344) e con la Sacra Famiglia di Dresda (115); salvo ricredersi qualche anno dopo (1986³), anticipandola al 1539-1545 circa. Nel frattempo, Aliberti Gaudioso e Gaudioso (1981), e la sola Aliberti Gaudioso (in Museo ritrovato…, 1986), tenevano per fermo il 1550 circa, eventualmente ritardando al 1551-53; la Ferriani (1994), fra queste idee contrapposte, sembra tenere il centro, propendendo per un’epoca intorno al 1545, mentre Barbieri (1995) indica come probabile il lunghissimo periodo compreso fra il 1545 ed il 1557 circa. Chi scrive, sulla base di un ripensamento dell’attività giovanile del Fontana basato su una serie di opere nuove, ha proposto (1997) una collocazione attorno al 1539-1540, che è parsa del tutto convincente a Sassu (1999 e 2000), e che si sostanzia sulla strettissima affinità del panneggio nervosamente spezzettato, e di una certa aggraziata e volante sveltezza della forma, con quelli della pala di Berlino (già a Wiesbaden), che portava un tempo la data 1540. E ancora, sulla sostanzialmente identica riproposizione del profilo di Gesù Bambino nella tavola già della collezione G.M.B. di Vignola, databile al 1539-40 (Lucco, 1997, pp. 142-145, ill. 3 a p. 143), adattandola stavolta al san Giovannino sulla destra.

La lettura del dipinto nella chiave di Giulio Romano, consueta quando era in auge il riferimento al Torbido, e persino nel periodo di voga di quello bronzinesco, è incredibilmente mantenuta, almeno in parte, dalla Fortunati Pietrantonio³ (1986), pur all’interno di una complessa emulsione di elementi culturali, e dalla Ferriani (1994); in realtà, ai miei occhi qui nulla accenna a Giulio, e l’eventuale raffaellismo è quello, assai mediato, che poteva derivare all’artista da una precocissima conoscenza di Perin del Vaga, e poi di Cecchin Salviati e di Giorgio Vasari, del quale in più occasioni egli utilizzerà i disegni per dar vita alle proprie creazioni (Sassu, 2000). Non senza sottolineare, tuttavia, qualche intelligente intesa con fatti Nord-Italiani, o veneti tout-court: non si dice solo della posa sgambettante del bambin Gesù, che sembra ritradurre nei complicati contrapposti della Maniera l’affresco tizianesco in Palazzo Ducale a Venezia, ma anche nel suo stesso volto, che pare ispirato alle prime creazioni, fra Vicenza e Brescia, di Giovanni Demio, negli anni venti e nei primi trenta, dall’affresco in questo stesso Museo (cat. 157 A 871), alla pala di Torrebelvicino, alla Sacra Conversazione Maggi a Calino; l’assetto compositivo stesso rimanda a modelli di primo cinquecento, da Basaiti a Solario; per finire a quel riversare ancora in naturalismo, nei volti intensi, terragni, di santa Elisabetta e di san Giuseppe, alcune peregrine invenzioni dello stile moderno, con un procedimento che era stato anche del maestro di Fontana, Girolamo da Treviso il giovane. Se questo significhi che il quasi ventenne Prospero abbia seguito Girolamo a Venezia, al tempo degli affreschi sulla facciata della casa di Andrea Odoni, compiuti nel 1531 circa, è ancora impossibile dire; i vuoti nella sequenza documentale possono consentirlo, e queste piccole spie potrebbero costituirne un primo indizio.

In ogni caso, resta uno dei momenti più grati della pittura bolognese, nella prima metà del cinquecento, la bellissima invenzione domestica di questo gruppo, con la vecchia zia massaia che si torce, seduta sul bordo della culla, come ha per prima osservato la Aliberti Gaudioso (in Museo ritrovato…, 1986), per osservare amorevolmente il nipote nei suoi primi movimenti, tra il sorriso arguto di Giuseppe e la compunzione sin troppo autocosciente del cuginetto; un’immagine di serenità, cui aggiunge fascino la primaverile, cantabile lucentezza dei colori a stacco, a volte cangianti, certo di origine vasariana, ma non immemori, ancora una volta, nell’attento stampare zone chiare su zone più scure, di quel che era stato, ed era, uno dei segreti della pittura veneta.

Bibliografia

Ongaro, 1912, p. 78 (maniera del Bronzino); Fiocco², 1915, II, pp. 29, 80 (Francesco Torbido in collaborazione con Battista del Moro); Bortolan-Rumor, 1919, p. 152 (maniera del Bronzino); Viana, 1933, pp. 50, 76 (Francesco Torbido in collaborazione con Battista del Moro); Arslan, 1934, p. 21 (copia di fiammingo coevo a Rubens da un manierista italiano della prima metà del sec. XVI); Suida, 1939, p. 284 (Francesco Torbido in collaborazione con Battista del Moro); Fasolo, 1940, p. 143 (maniera del Bronzino); Arslan, 1949, p. 72 (pittore emiliano, 1550); Barbieri, 1952, p. 13 (manieristica impostazione tosco-romana); Magagnato, 1953, p. 178 (manierismo tosco-romano); Barbieri2, 1954, p. 176 (ambiente vicinissimo al manierismo tosco-romano); Barbieri-Magagnato, 1956, p. 177 (manierismo tosco-romano); Barbieri, 1962, II, pp. 194-195 (Pittore veneto, emiliano?); Brenzoni, 1972, p. 281 (Francesco Torbido in collaborazione con Battista del Moro); Aliberti Gaudioso-Gaudioso, 1981, p. 69 (scuola emiliana, 1550); Ballarin An., 1982, p. 116 (veneto o emiliano); Fortunati Pietrantonio, 1981, pp. 98-99 (scuola emiliana, 1550); Repetto Contaldo, 1984, p. 69, cat. A 50 (non è Torbido); Aliberti Gaudioso, in Museo ritrovato…, 1986, pp. 124-125, cat. B18 (scuola emiliana, 1551-1553); Fortunati Pietrantonio3, 1986, pp. XXVI, 340, 351, 354 (scuola emiliana, 1539-1545); Ferriani, 1994, pp. 112, 183-184 (scuola emiliana, 1545); Barbieri, 1995, pp. 72-73; Lucco, 1997, p. 147, 149; Sassu, 1999, p. 164; Sassu, 2000, p. 84; Villa, 2002, p. 71.

Esposizioni

Vicenza, 1986, pp. 124-125, cat. B18.

Quest’opera appartiene al percorso: