Adorazione dei Magi

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AutoreGiovanni Demio
Periodo(Schio 1510/1512 - Vicenza? 1570?)
SupportoTela, 256x157
InventarioA 456
Autore della schedaMargaret Binotto

La tela, firmata e datata 1564, venne dipinta dallo scledense Giovanni Demio per la chiesa parrocchiale di Santa Maria a Santorso (Vi).

L’opera, prelevata dall’originaria collocazione, fu dapprima relegata nella sacrestia della chiesa, per poi passare, nel corso dell’Ottocento, in alcune importanti collezioni private vicentine: quella del conte Clemente Barbieri e, in seguito, quella dello storico Francesco Formenton, che la donò al Museo civico nel 1874. Rimasta in deposito per alcuni decenni presso la chiesa vicentina di San Lorenzo, la pala rientrò nella Pinacoteca cittadina nel 2001.

Il dipinto è il frutto delle numerose esperienze che Demio riuscì ad accumulare durante i suoi soggiorni in area veneta e lombarda, nell’Italia centrale e meridionale, in particolare nel napoletano, e inoltre del suo legame con Giorgio Vasari. L’artista, infatti, mostra in quest’opera i caratteri peculiari del suo stile.

Le figure si ammassano quasi ribaltandosi verso il primo piano, compresse in uno spazio reso angusto dalle opprimenti rovine architettoniche dello sfondo. Lo scenografico corteo che, al seguito dei Magi, rende omaggio al Bambino si compone di una folla di personaggi contorti in pose fortemente innaturali e avvolti in abiti sontuosi, arricchiti con vistosi medaglioni, preziose collane ed esotici copricapi.

Le loro forme, illuminate da improvvisi bagliori, sono rese metalliche dal colore, che ha assunto col trascorrere degli anni una particolare intonazione bronzea dovuta al progressivo deterioramento della pellicola pittorica, stesa direttamente sulla tela senza la necessaria preparazione.

Iscrizioni

in basso a sinistra IOAS.DMI; in basso al centro MDLXIIII

Provenienza

Santorso (Vi), chiesa parrocchiale di Santa Maria (Da Schio, 1849); collezione Clemente Barbieri, Vicenza (Mündler, 1858); dono Francesco Formenton, Vicenza 1874; Vicenza, chiesa di San Lorenzo, fino al 2001

Restauri

1980 (Sgarbi, 1980)

Inventari

1902: c. 3, 14 (10). 10. Adorazione dei re magi. Tela ad olio. Alto 2.50, largo m 1.55. De Mio. Rovinato. Discreta; 1907: c. 2, 10 (10). De Mio Giovanni, fioriva in patria nel 1556, sembra scolaro del Maganza. Adorazione dei re magi. Tela, 2.50x1.55; 1908: 10 (404, 456). Giovanni De Mio vicentino. Adorazione dei magi (tela, 2.50x1.55). Nel 1908 si trova in sala. Pervenne al Museo nel 1874 per dono di Francesco Formenton [segue la nota a matita: a San Lorenzo]; 1910-1912: 456 (404). Numerazione vecchia: 10 numerazione Commissione d’inchiesta 1908; 14 catalogo 1912; 456 inventario 1950. Provenienza: dono di Francesco Formenton 1874. Forma e incorniciatura: rettangolare con cornice dorata. Dimensioni: alto m 2.50, largo m 1.55; 1950 2.50x1.55. Materia e colore: tela dipinta ad olio. Descrizione: Adorazione dei magi. Autore: Giovanni De Mio; inventario 1950 Giovanni De Mio.

Descrizione tecnica

Nel maggio del 1849 Giovanni Da Schio (ms. sec. XIX) documentava che la pala dell’altar maggiore della parrocchiale di Santorso (Maccà, 1815; Trissino, ms. sec. XIX), di “bella imaginazione” e di “minuta composizione”, era stata prelevata dall’antica ubicazione per essere “inonoratamente” appesa nella sacrestia.

Nel marzo del 1858 Otto Mündler (in Togneri Dowd, 1985) incaricato degli acquisti di opere d’arte in Italia dalla direzione della National Gallery di Londra, la vide nella collezione del conte Clemente Barbieri, “notaio riputatissimo, raccoglitore di quadri pinti in ispecialità da pennelli vicentini” e membro nel 1851 della Commissione di cose patrie (Da Schio, ms. sec. XIX). Alla morte del figlio nel 1862, il nobile si fece monaco olivetano a Siena. Il tragico lutto indusse il Barbieri a disfarsi della sua raccolta: la pala del Demio fu probabilmente venduta allo storico Francesco Formenton, che ne fece dono al Museo il 7 dicembre 1874: “Al Patrio Museo lascio il mio quadro grande con cornice dorata, rappresentante i Re Magi, dipinto in tela del 1563, del vicentino De Mio (D’MI sta scritto sul quadro)”. La pala, depositata presso la chiesa di San Lorenzo per alcuni decenni, ha fatto ritorno in Pinacoteca nel 2001.

Il restauro e l’esposizione nel 1980 alla mostra “Palladio e la Maniera” hanno permesso a Sgarbi (1980) di restituire all’opera, liquidata sbrigativamente dalla critica come copia della padovana Adorazione dei Magi di Santa Maria in Vanzo, la considerazione negatale in passato dalla critica (Fiocco, 1931; Arslan, 1956).

Il deperimento del colore, assorbito dalla tela su cui venne steso senza il necessario filtro dell’imprimitura, ha ulteriormente accentuato la carica drammatica dell’atmosfera serotina in cui è ambientato l’evento. I rialzi luminosi dei panneggi, vibranti di riflessi metallici, evidenziano l’ondulazione tormentata del disegno, il cui tortuoso andamento svuota i corpi della loro consistenza volumetrica. Le figure, “cesellate in bronzo” e “illuminate da magici bagliori cangianti” (Ivanoff, 1968, p. 74), compresse in uno spazio angusto e asfittico, si avvitano su se stesse in artificiose torsioni: l’effetto che ne deriva è quello prezioso e raffinato di un arazzo (Mündler, 1858, in Togneri Dowd, 1985).

La recente scoperta di nuovi dati documentari comprovanti un soggiorno napoletano del Demio fra il 1547 e il 1552 (Leone de Castris, 1995, pp. 87-91; Idem, 1996, p. 182 nn. 43-45), cui ne seguirono, con tutta probabilità, altri due fra settimo e ottavo decennio, pone la pala di Santorso al centro del complesso intreccio di esperienze che il pittore scledense era andato raccogliendo nelle continue peregrinazioni fra la sua terra d’origine e l’Italia centrale e meridionale.

Decisivo per la maturazione del suo originale stile espressivo fu il rapporto, instauratosi forse già a Venezia, con Giorgio Vasari e tramite il quale egli probabilmente ottenne l’incarico dal Vicerè di Napoli don Pedro de Toledo di decorare, insieme a Matteo Lama, alcuni ambienti nella reggia partenopea di Castel Nuovo e nel nuovo palazzo vicerale attiguo (ora distrutto).

Come ha ben precisato Leone de Castris (1996, p. 95), il Demio fece parte di quel nutrito gruppo di “forestieri”, che, giunti a Napoli fra il quinto e il sesto decennio, seppero fondere nel settore della decorazione a fresco e stucco “la chiara e definita struttura disegnativa tutta toscana di Vasari” con una espressività grottesca e concitata di marca polidoresca, coniugata, nel caso dell’artista vicentino, ad un “romanismo” mutuato dal contatto con i pittori nordici, allora presenti in gran numero tra Roma e Napoli.

La data - 1564 (e non 1563 come si è sempre letto) - in calce all’Adorazione in esame situa l’opera nel mezzo di quel decennio che vide il Demio impegnato nell’esecuzione per la chiesa di Santa Maria delle Grazie a Montecalvario (fondata nel 1560 e consacrata nel 1574) del polittico con la Madonna del Rosario e il Giudizio Universale (Leone de Castris, 1996, p. 166), della Madonna in gloria con san Girolamo penitente (Napoli, chiesa di San Giacomo degli Spagnoli) e della Morte e assunzione di Maria, datata 1570 (Cosenza, chiesa delle Vergini) (Leone de Castris, 1996, p. 171).

Il confronto con l’Adorazione dei Magi di Santa Maria in Vanzo, eseguita subito dopo i tondi per la Libreria Marciana (1556-1557), e quindi un lustro prima della pala di Santorso, rivela come le tracce dell’educazione lombarda, ravvisabili nel san Giuseppe padovano, ancora memore del pastore savoldesco che assiste da sinistra alla Natività della Pinacoteca Tosio Martinengo di Brescia, vengano abbandonate in favore di un preciso richiamo vasariano: si relazionino il san Giuseppe demiano e l’anziano che reca gli attributi della Scienza nel refettorio di Monteoliveto. Ericani (2000), riprendendo un’osservazione di Fiocco (1947, p. 97), ravvisa inoltre un interessante parallelismo con l’evoluzione stilistica di un ”altro eccentrico del contado veneto”, Pietro de Marescalchi, con il quale collabora nel soffitto della Biblioteca Marciana: a partire da tale impresa, nella quale la vittoria assegnata a Paolo Veronese sancisce “il primato dei valori del colore e della luce su quelli della linea”, Demio - a giudizio della studiosa - privilegia gli effetti luministici sulle componenti più intellettualistiche ed eccentriche della “maniera”.

Il contatto a Napoli con la raffinata tradizione ornamentale tosco-romana, rinvigorita dall’arrivo a Montecassino fra il 1556 e il 1557 di Marco Pino, credo sia tuttavia all’origine della sontuosità degli abbigliamenti, impreziositi da vistosi medaglioni a rilievo e da sfarzose collane a catena. Il pittore indugia, come non era avvenuto nella precedente versione padovana, nella descrizione degli esotici copricapi dei paggi e dei notabili al seguito dei re magi.

Spia di quel “romanismo” nordico, più volte sottolineato dagli studiosi, non è soltanto nei romantici e incombenti ruderi architettonici dello sfondo, derivati dalle incisioni di rovine che Battista Pittoni trasse nel 1561 dalla serie di Hieronymus Cock, ma soprattutto nella spazialità della composizione, delimitata superiormente da un orizzonte molto alto che fa scivolare verso il basso, ribaltandolo verso lo spettatore, lo spettacolare corteo, raffigurato con una propensione narrativa ancora fortemente legata alle fiabesche parate araldiche tardogotiche.

Bibliografia

Maccà, ms. sec. XIX; Da Schio, ms. sec. XIX; Trissino, ms. sec. XIX, cc. 275r, 276r; Maccà, 1815, XII/I, p. 148; Mündler, 1858, c. 53 v. in Togneri Dowd, 1985, p. 211; Elenco dei doni…, 1874; Testamento olografo di Francesco Formenton, 7 dicembre 1874, 1875, p. 6; Fiocco, 1931, p. 438; Dall’Acqua, 1936, p. 389; Fiocco¹, 1938, p. 160; Arslan, 1956, pp. 128-129, cat. 851; Guglielmi, 1964-65, pp. 187-188; Guglielmi, 1966, p. 108; Bora, 1971, p. 80; Marinelli, 1981, p. 151; Pallucchini², 1981, p. 23; Sgarbi, in Palladio…, 1980, p. 33; Sgarbi, 1981, p. 123; Sgarbi, 1984, p. 405; Baldissin Molli, 1987 (1988), II, p. 702; Freedberg, 1988, pp. 650-651; Repetto Contaldo, 1990, p. 655; Rigoni, 1990, p. 50; Leone de Castris, 1995, p. 88; Binotto, 1998, p. 771; Binotto, in Natale…, 2000, pp. 80-82, cat. 10; Ericani, in Natale…, 2000, pp. 76-78, cat. 9; Romani, in Dal Pordenone…, 2000, p. 153; Saccardo, 2000, p. 38.

Esposizioni

Vicenza, 1980, p. 33; Riva del Garda, 2000-2001, pp. 80-82, cat. 10.

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