Madonna adorante il Bambino tra le sante Monica e Maria Maddalena

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AutoreBartolomeo Montagna
Periodo(Vicenza? 1449 circa - Vicenza 11 ottobre 1523)
SupportoTela, 184x169
InventarioA 3
Autore della schedaMaria Elisa Avagnina

Sullo sfondo di un paesaggio tipicamente vicentino (si può scorgere in lontananza la cinta muraria di Vicenza con la chiesa di San Bartolomeo), aspro e roccioso, disteso sotto un cielo denso di nubi, si collocano tre figure femminili colte in assorta e silenziosa contemplazione del Bambino. In primo piano, sulla sinistra, santa Monica, la madre di sant’Agostino. Nel suo volto, fortemente caratterizzato, è stato riconosciuto il ritratto di Piera Porto, la vedova di Bernardino Pagello, che si suppone abbia commissionato la pala attorno al 1486 in memoria del marito defunto. Il suo sguardo fisso e vuoto, la sua espressione austera e inoltre il cartiglio che stringe tra le mani, contenente una citazione dal IX libro delle Confessioni di sant’Agostino: NULLA RE IAM DELECTOR IN HAC VITA (“nulla può più dilettarmi in questa vita”), insieme alla croce, sono indice del suo stato di virtuosa vedovanza. Sulla destra la Maddalena, avvolta in un sontuoso ed elegante panneggio, sorregge il vaso contenente l’unguento con cui cospargerà i piedi e il capo di Cristo. Più in alto la Madonna, inginocchiata sotto un esile baldacchino fatto di rami d’alloro, contempla assorta il Figlio disteso a terra con i genitali posti in evidenza, segno della sua umanità e della sua futura sofferenza.

L’intera opera, proveniente dalla prima cappella di destra della distrutta chiesa di San Bartolomeo, è costellata di elementi simbolici legati al tema dell’incarnazione-morte-resurrezione: la radice posta all’altezza della testa del Bambino è simbolo di Cristo incarnato, le ciliegie che Questi stringe tra le dita e il drappo rosso che copre il baldacchino alludono al sangue della passione, il manto nero alle spalle della Madonna esprime il dolore della Madre alla morte del Figlio, il verdeggiante olivo sulla sinistra contrapposto a quello secco sulla destra si riferisce alla resurrezione di Cristo.

Iscrizioni

a sinistra, cartiglio in mano a santa Monica: NULLA/ RE IAM/ DELEC/ TOR/ IN HAC/ VITA

Cartellini

s.d.3 N.3/ Bartolomeo Montagna/ Madonna col Bambino/ […] e S. M. Maddalena; 1949-1950 N. 3/ Bartolomeo Montagna/ Madonna adorante il Bambino/ tra S. Maria Maddalena e S. Chiara/ tela 182x160; 1954 N. 8047; su carta rossa, a stampa con inchiostro nero Museo-Vicenza/ n. 123

Provenienza

Vicenza, chiesa di San Bartolomeo; Vicenza, Sacro Monte di Pietà, 1819; Vicenza, deposito presso il palazzo Municipale, 1820; Vicenza, palazzo Municipale, sala del Consiglio, 1831; Vicenza, acquisto del Comune dalla Congregazione di Carità, 1833 (MCVi, Museo, Acquisti, b. 1, fasc. “Acquisto dipinti Ospedale civile” contenente la corrispondenza intercorsa tra la Congregazione municipale e l’Ospedale civile di Vicenza per l’acquisto di dipinti di proprietà dell’Ospedale, perfezionato con delibera consigliare del 1833, giu. 28, inserto “prospetto dimostrante il prezzo attribuito ai dipinti posseduti dall’Ospedale civile di Vicenza, de’ quali si progetta la vendita a quella Congregazione municipale, eretto dalla Commissione istituita dalla presidenza della imperial regia Accademia delle belle arti coll’ordinanza 8 agosto 1832”, Venezia, 1832, ago. 26: al n.“3. Bartolomeo Montagna. Beata Vergine col Putto, santa Monica e santa Maria Maddalena. Zecchini 250. Due furono i Montagna, Bartolomeo e Benedetto di lui fratello. Il primo si fece molto onore nell’arte pittorica e viene molto lodato dagli antichi scrittori, il secondo non fu nemmeno annunziato dal Vasari, forse perché il credé indegno di tale onore. Nel quadro contrascritto e nel seguente, che pur è dello stesso autore, rimiransi due maniere totalmente diverse per cui creder potrebbersi che fosse uno opera di Bartolomeo, l’altro di Benedetto: ma siccome in quello che segue, ch’è di molto inferiore a questo, vedesi chiaramente pronunziata la maniera di Bartolomeo, così non è possibile di attribuir questo, ch’è di gran lunga migliore, a Benedetto, deesi quindi stabilire nello stesso Bartolomeo due maniere. La prima che s’accosta più a quella del Mantegna di cui fu discepolo, tanto per lo stile, come per l’accuratezza del fino pennello, la seconda si allontana alquanto dalla prima, perché fatto libero di sé neglesse la scrupolosa diligenza del maestro e cercando uno stile più largo e più franco, cadette alquanto nel gonfio e negligente senza abbandonare il secco, ed anzi accrescendo il duro caratteristico dell’epoca passata, per cui riesce più bello nel primo che nel secondo stile. Perciò lontani dall’attribuire a Benedetto il quadro di cui trattasi, lo annovereremo fra le migliori opere di Bartolomeo eseguite nell’epoca più felice e scrupolosa, opera che onora di maniera il suo autore da costringere ognuno a stimarlo vicino al suo maestro Mantegna. In questo dipinto tutto è bello di quella maniera: bella è l’aria dei volti, avvegnaché in quello della Vergine e della giovine santa si rimarchi qualche difetto negli occhi, difetti che non appariscono nel volto della santa monaca, bella la disposizione delle figure, bellissimi li partiti delle pieghe che appariscono tenere e ragionevoli, come è pur bella l’intera loro esecuzione, ragionato l’andamento ed armonica la loro tinta. Bello il fondo, le erbette, i sassi, il tutto eseguito di un gusto mantegnesco e di fino pennello; per cui a fronte che i quadri di questo autore non abbiano gran voga in commercio, fu a questo stabilito il prezzo di zecchini 250)

Restauri

1908, Franco Steffanoni; 1962, Giuseppe Giovanni Pedrocco; 1988, Corest

Inventari

1820: 1. Tavola che rappresenta il Bambino Gesù adorato dalla beata Vergine, da santa Monica e da santa Maria Maddalena, opera di Bartolomeo Montagna. Proprietà dello Spedale grande degli infermi e de’ poveri amministrato dalla Congregazione di Carità; 1831: 75. Sala detta del Consiglio. Montagna Bartolomeo. La beata Vergine col Bambino, santa Monica et cetera. Ospitale civile, n. 2495 del 1820, 1; [post1834]: 166. Montagna Bartolomeo. Beata Vergine con Bambino, santa Monica e santa Catterina, 54; 1854: 54. 2.40. 2.10. Bartolomeo Montagna. Maria vergine col Bambino e due sante; [1873]: Antichi vicentini, quarta stanza a tramontana, parete I, 3 (4). Bartolomeo Montagna. Pala. Madonna genuflessa dinanzi al Bambino con santa Monica e santa Maria Maddalena; 1873a: c. 7, 3. Bartolomeo Montagna. Maria vergine genuflessa dinanzi al Bambino, santa Monica e santa Maria Maddalena; 1902: c. 59, 266 (257). 258bis. Madonna genuflessa d’innanzi al Bambino con santa Chiara [corretto su Monica] e santa Maria Maddalena. Tela [depennato ad olio]. Alto 1.70, largo 1.60. Bartolomeo Montagna. Guasto. Cornice architettonica alquanto deperita e porta lo stemma di casa Arnaldi. Dalla chiesa di San Bartolomeo ora atterrata; 1907: c. 29, 259 (257). Bartolomeo Montagna. Madonna genuflesa d’innanzi al Bambino con santa Chiara e santa Maria Maddalena. Tela, 1.70x1.60. Dalla chiesa di San Bartolomeo ora atterrata. La cornice architettonica porta lo stemma dei ***; 1908: 257 (3). Bartolomeo Montagna. Madonna genuflessa davanti al Bambino con santa Chiara e santa Maria Maddalena (tela, 1.70x1.60). Nel 1908 si trova nella stanza dei vicentini. Nel 1873 si trovava al n. 3 della stanza degli antichi vicentini; le due sante sono state indicate per santa Monica e santa Maria Maddalena. Nel catalogo a stampa del Magrini dell’anno 1855 si trova in sala al n. 19. Nell’inventario di consegna della Pinacoteca al Museo dell’anno 1854 porta il n. 54 colle indicazioni: Bartolomeo Montagna, Maria vergine col Bambino e due sante (2.40x2.10). Fu depositato dalla Congregazione di Carità nella Pinacoteca l’anno 1820 col n. 1 e le indicazioni: Bartolomeo Montagna, tavola che rappresenta il Bambino Gesù adorato dalla beata Vergine, da santa Monica e da santa Maria Maddalena. Fu acquistato dal Comune il 13 settembre 1833 per 250 zecchini; 1910-1912: 3. Numerazione vecchia: 257 numerazione della Commissione d’inchiesta 1908; 266 catalogo 1902; 3 catalogo 1873; 19 Magrini catalogo a stampa 1855; 54 inventario di consegna 1854; 1 n. di deposito; 3 catalogo 1912; 3 catalogo 1940; 3 inventario 1950. Provenienza: dalla distrutta chiesa di San Bartolomeo. Collocazione: I sala dei vicentini. Forma e incorniciatura: rettangolare con cornice ad ancona. Dimensioni: 1.70x1.60; inventario 1950 1.82x1.69. Materia e colore: tela a tempera. Conservazione e restauri: restaurato da Franco Steffanoni nel 1908. Descrizione: Madonna genuflessa davanti al Bambino con santa Monica [corretto su Chiara] e santa Maria Maddalena; dall’inventario del 1940 si legge santa Monica e non santa Chiara. Autore: Bartolomeo Montagna; catalogo 1912 Bartolomeo Montagna; catalogo 1940 Bartolomeo Montagna; inventario 1950 Bartolomeo Montagna. Bibliografia: Storia dell’arte italiana n. 39, Fabbri editori, p. 627. Iconografia: foto Anderson 30186; foto Alinari 13516.

Descrizione tecnica

La tela era collocata in origine sull’altare della prima cappella di destra della chiesa di San Bartolomeo a Vicenza, eretta dalla famiglia Pagello, appartenente alla più antica e qualificata nobiltà vicentina (Pagliarino, 1663, VI, pp. 272-273) in onore di santa Monica, come informano le disposizioni testamentarie di Piera Porto Pagello (ASVi, Archivio notarile, Gregorio Dal Ferro, docc. 1509, ott. 9; 1514, giu. 16). Lo stesso altare figura successivamente citato nel Barbarano (1761) come proprietà degli Arnaldi, probabilmente subentrati in epoca imprecisata agli originari titolari, e ciò spiega il motivo per cui lo stemma di questa famiglia, oggi perduto, venga citato da Minozzi (1902) come esistente all’epoca sulla cornice della pala e compaia in vecchie riproduzioni fotografiche (Ongaro, 1912, p. 19; Barbieri, 1981, ill. 38). Ceduta in deposito dalla Congregazione di Carità, proprietaria della chiesa, al Comune di Vicenza nel 1820, la pala fu da questo acquistata nel 1833 per la considerevole somma di 250 zecchini, sulla base della acuta valutazione contenuta nel documento d’acquisto. Segnalata nel 1822 e nel 1830 (Berti) nel palazzo comunale, adiacente all’epoca alla Basilica palladiana, fu trasferita nel 1832 (Rumor, 1910) nel salone della Confraternita dei Rossi, al piano superiore dell’oratorio di San Cristoforo, per entrare definitivamente in palazzo Chiericati nel 1855, al momento dell’inaugurazione del Museo.

Il soggetto del dipinto, un’Adorazione della Vergine ambientata in uno spazio naturale, costituisce “un motivo straordinario nell’evoluzione della sacra conversazione veneziana” (Schmidt, 1990, II, p. 718), destinato a restare senza seguito in questa particolare versione, mentre conoscerà fortuna, a partire dal nuovo secolo e soprattutto presso Cima da Conegliano, l’invenzione montagnesca qui esperita per la prima volta di “sopprimere i confini tra pala e dipinto narrativo” (ib.).

In sorvegliato equilibrio, all’interno di un campo pressoché quadrato, sullo sfondo di un ”bellissimo Paese fatto con somma diligenza” (Boschini, 1676), sono disposte tre figure femminili: la Vergine inginocchiata di fronte al Figlio, debitrice iconograficamente al tema dell’Adorazione dei Magi o dei pastori, ma altresì alle Madonne dell’umiltà, e le sante Monica e Maria Maddalena, riconoscibili dall’abito e dagli attributi.

Nella figura di santa Monica, confusa ricorrentemente in passato con santa Chiara negli inventari museali (1902, 1907, 1908) e nella letteratura (Venturi, 1907; Berenson, 1919, p. 173; Arslan, 1934, p. 14; idem, 1956, p. 5 n. 29; Coletti², 1953) per la ritenuta affinità con la Santa Chiara di Alvise Vivarini delle Gallerie dell’Accademia di Venezia, la critica più recente (Bucci, 1991; Dal Pozzolo, 1998), riprendendo con ampiezza di argomenti un’intuizione di Mantese (1968-1969, p. 254) già accettata da Humfrey (1977, p. 177), ha voluto ravvisare un ritratto di Pietra Porto, vedova di Bernardino Pagello, supposta committente della pala in memoria del marito, morto verosimilmente alla fine del 1485. Alla caratterizzazione fisionomica acuta ed intensa del personaggio, si aggiungerebbe secondo tale interpretazione il riferimento allo stato di esemplare vedovanza della nobildonna, richiamato dalla scritta del cartiglio, tratta da un passo del libro IX delle Confessioni di sant’Agostino e allusivo al distacco dalle cose terrene a seguito della morte del coniuge.

Alla rarità iconografica l’opera associa un serrato codice di simboli (Bucci, 1991, pp. 16, 25 nn. 56-60) incentrati sul tema cristologico dell’incarnazione - morte - resurrezione, tradotti in limpide immagini pittoriche: dalla radice contorta che fuoriesce dalle fratture della roccia in corrispondenza della testa del Bambino, simboleggiante il Cristo incarnato, alle ciliege che questo stringe nella mano destra e al drappo rosso che copre l’agreste baldacchino, allusivi nel colore al sangue della passione, cui fa riscontro il lutto di Maria, richiamato dal velo nero alle sue spalle, all’olivo dai rami verdi sullo spalto erboso a sinistra, contrapposto a quello secco a destra, allusivi al mistero della resurrezione del Salvatore.

Nello scorcio urbano alle spalle della Maddalena è stato riconosciuta (Bucci, 1991, p. 17), in analogia alla pala Trento (cat. 32 A 1), una veduta della cinta muraria di Vicenza in corrispondenza di borgo Pusterla, con la presenza della chiesa di San Bartolomeo emergente con la parte terminale del timpano e del campanile dalle cortine merlate.

Pur non documentata, l’opera porta fin dalle fonti più antiche un’unanime attribuzione a Bartolomeo Montagna sulla base di chiare evidenze stilistiche. Discussa invece ne risulta la cronologia, oscillante in passato tra una datazione precoce, in apertura degli anni ottanta (Barbieri, 1954 e 1962; Tanzi, 1990) in particolare tra il 1482 e il 1483 (Puppi, 1962; Barbieri, 1981; Lucco, 1987) ed una tarda intorno al 1488-1490 (Berenson, 1919; Jewett-Mather, 1936; Magagnato, 1953; Barbieri-Magagnato, 1956; Mantese, 1968-1969, p. 255), assestatasi nella critica più recente (Bucci, 1991; Dal Pozzolo, 1998) intorno alla metà del nono decennio, tra la fine del 1485 e il 1486, in prossimità della morte del Pagello.

Opera di assorta, silente bellezza e di lirica partitura cromatica, la pala comunica al riguardante il senso di “stupefazione di un mistero” (Barbieri, 1981, p. 26), in cui l’evento sacro risulta calato in un paesaggio di forte impronta naturale, caratterizzato nei primi piani da asprezze di ascendenza mantegnesca, ma in cui lo scalare progressivo dalle “crete fossili“ del piedestallo litico, al parterre muschioso che lo ricopre, alle aperture paesaggistiche dello sfondo richiama da presso quello della Trasfigurazione di Giovanni Bellini, oggi al Museo di Capodimonte a Napoli (Lucco, 1987, p. 153) e proveniente attendibilmente dalla cappella Fioccardo nel Duomo vicentino, dove si sarebbe trovata fin dal 1480 (Arslan, 1956, p. 28 n. 130). Ascrivibile senza dubbio ai capolavori della prima maturità dell’artista, il dipinto evidenzia nella rigorosa impostazione volumetrica e nella nitidezza incisiva del segno le peculiarità del linguaggio montagnesco di quegli anni e i debiti del pittore vicentino nei confronti della pittura veneziana, segnatamente antonellesca ed alvisiana.

Contrariamente a quanto riferito da Barioli (1972), il dipinto non risulta aver subito un'operazione di trasporto da tavola su tela nel XIX secolo, come provano l'assenza di notizie al riguardo e le caratteristiche del supporto tuttora in opera, costituito da una grossa tela a spinapesce, tipica del secolo XVI e come denotano le condizioni sostanzialmente buone della preparazione.

Bibliografia

Castellini², ms. 1628 circa, c. 220r; Ridolfi, 1648, I, p. 91; Ridolfi, 1648 (ed. 1914), I, p. 109; Boschini, 1676, p. 91; Boschini, 1676 (ed. 2000), pp. 180, 231 n. 295; Barbarano, 1761, V, pp. 435-436; Bertotti-Scamozzi, 1761, p. 109; Faccioli, 1776, I, p. 93, n. 35; Buffetti, 1779, I, p. 4; Bertotti-Scamozzi, 1804, p. 90; Berti, 1822, p. 25; Berti 1830, p. 24; Zimello, 1847, p. 5; Magrini, 1855, p. 53 cat. 19; Magrini, 1863, pp. 15, 36; Formenton, 1867, p. 357; Ciscato, 1870, p. 85; Elenco dei principali…,1881, p. 6; Burckhardt, 1892, p. 621; Berenson, 1894, p. 108; Berenson, 1895, p. 65; Venturi A., 1907, p. 256; Foratti¹, 1908, pp. 19-20; Borenius, 1909, pp. 19, 22-23, 29, 32, 33, 36, 42, 93, 107; Rumor, 1910, p. 4; Berenson, 1911, p. 108; Ongaro, 1912, pp.17, 19; Borenius, 1912, pp. 19, 22-23, 29, 32, 33, 36, 42, 93, 107; Crowe-Cavalcaselle, 1912, II, pp. 125-126; Phillips, 1912, p. 227; Venturi A., 1915, pp. 458-460; Berenson, 1919, p. 71, 173; Bortolan-Rumor, 1919, pp. 93, 150; De Suarez, 1927, pp. 5-8; De Mori, 1928, p. 75; Clark-Balniel, 1930, p. 90; Foratti¹, 1931, p. 75; Berenson¹, 1932, p. 369; Lauts, 1933, p. 84; Arslan, 1934, pp. 6-7, 14; Berenson, 1936, p. 317; Jewett-Mather, 1936, pp. 151-153; Fasolo, 1940, p. 53-55; Pallucchini, in Cinque secoli…, 1945, p. 52 (cat. 50); Longhi, 1946, p. 15; Pallucchini¹, in I capolavori…, p. 89, cat. 143; Pallucchini², in I capolavori…, 1946, p. 81, cat. 143; Podestà, 1946, p. 156; Pallucchini, 1947, p. 30; Magagnato¹, 1949, p. 102; Zocca, 1952, coll. 1330-1331; Coletti, 1953², pp. LXXIII-LXXIV; Magagnato, 1953, p. 174; Barbieri¹, 1954, pp. 192-194; Barbieri², 1954, p. 174; Arslan, 1956, p. 5 cat. 29, 182 cat. 1279; Barbieri-Magagnato, 1956, p. 174; Puppi, 1956-1957, pp. 87-90; Berenson, 1957, I, p. 117; Mariacher, 1957, p. 119; Berenson, 1958, I, p. 121; Bovero, Montagna Bartolomeo, 1958, XII, pp. 736-737; De Logu, 1958, p. 242; Pignatti, 1959, p. 72; Barbieri, 1962, pp. 164-167, 277; Pallucchini, 1962, pp. 211, 254-255 (1483); Puppi¹, 1962, pp. 40-41, 137-138; Puppi², 1962, p. 15; Mantese, 1968-1969, pp. 244, 246; Barioli, in Il restauro a Vicenza…, 1972, p. 83; Mantese, in Il gusto e la moda…, 1973, pp. 188-190; Humfrey, 1977, pp. 176-177, 180, n. 7 (1486-1487); Barbieri, 1981, pp. 21, 26; Ballarin An., 1982, p. 80; Rigon, 1983, pp. 60-62; Lucco, 1987, p. 155; Rigon, 1988, pp. 115-116; Schmidt, 1990, II, p. 717; Tanzi, 1990, II, pp. 610-611; Bucci, 1991, pp. 5-26; Cionini Visani, 1992, p. 698; Bucci, 1993, pp. 3, 52 n. 3; Barbieri, 1995, p. 54; Dal Pozzolo, 1997, pp. 58, 62; Dal Pozzolo, in Capolavori dal Veneto…, 1998, p. 41, cat. 4.

Esposizioni

Londra, 1930, pp. 143-144, cat. 228; Venezia, 1945, p. 52, cat. 50; Venezia, 1946, p. 81, cat. 143; Losanna, 1947, p. 67, cat. 31; Roma, 1988, pp. 115-116, cat. 66; Kiev, 1998, p. 41, cat. 4.

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