Tre fatti della vita di san Biagio: 25a san Biagio scoperto da un cervo in una grotta; 25b Supplizio di san Biagio; 25c Martirio di san Biagio

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Autore“Maestro della Libreria Sagramoso”
Periodo(attivo a Verona e Vicenza nel primo decennio del secolo XVI)
SupportoTavola, 35,8x269
InventarioA 162
Autore della schedaMauro Lucco

La tavola, che costituiva in origine la predella di una pala probabilmente collocata sull’altar maggiore della chiesa di San Biagio a Vicenza, è entrata a far parte della raccolta pittorica della Pinacoteca cittadina con l’attribuzione a Bartolomeo Montagna. Riferita in seguito al veronese Domenico Morone, l’opera è oggi considerata parte di un gruppo di dipinti realizzati da un artista attivo tra Verona e il territorio vicentino nel primo decennio del Cinquecento e convenzionalmente indicato con il nome di “Maestro della Libreria Sagramoso”.

Vi sono raffigurati alcuni episodi della vita di San Biagio, vescovo della Cappadocia, che - come mostra la prima delle tre scene dipinte - al tempo dell’imperatore Diocleziano visse da eremita, rifugiato in una grotta e circondato da feroci belve. Le fiere, rese docili dalla calma e dalla bontà del santo, si avvicinavano alla spelonca per ricevere dalle sue mani la benedizione. Biagio subì poi un terribile martirio: legato ad un palo venne torturato con particolari pettini di ferro, mentre il sangue, che sgorgava copioso dalle sue ferite, veniva raccolto da alcune pie donne. Diocleziano lo condannò alla decapitazione. Il santo, come si vede nell’ultimo dei tre episodi della tavola, venne giustiziato insieme ad altri due fanciulli.

Nel dipinto, opera di un artista già informato sulla lezione di Andrea Mantegna, il paesaggio, descritto con precisione nei minimi dettagli, assume un ruolo di primo piano, ha una “funzione espressiva, drammatica, non più solo decorativa” (Villa). Le figure, dinamiche e fortemente individualizzate, avvolte in eleganti panneggi, sono rese con un segno nitido e tagliente, che ne definisce le forme ulteriormente sottolineate dal chiaroscuro accentuato dai colori chiari. La sobria impaginazione della composizione esprime un modo di narrare proprio dell’artista, apparentemente ingenuo e fiabesco.

Cartellini

1949-1950 N. 162/ Domenico Morone?/ Fatti della vita di San Biagio/ Tavola 36x270

Provenienza

forse Vicenza, chiesa di San Biagio, predella della pala dell'altar maggiore; legato Paolina Porto Godi, Vicenza 1826

Restauri

1989, Corest; 2009, Renza Clochiatti

Inventari

1826: 25. Camera a mattina sopra il corso. Martirio di san Biagio in tre riparti. Bartolomeo Montagna. Lire 48; 1831: 101. Sala detta del Consiglio. Montagna. Martirio di san Biagio in tre comparti. Eredità Porto, n. 4321 del 1826, 25; [post1834]: 133. Montagna. Martirio di san Biaggio in tre comparti, 61; 1854: 61. 0.45. 2.75. Bartolomeo Montagna. Martirio di san Biagio in tre comparti; [1873]: Antichi vicentini, quarta stanza a tramontana, parete I, 19 (18). Bartolomeo Montagna. Fatti del martirio di san Biagio in tre comparti; 1873a: c. 7, 19. Bartolomeo Montagna. Fatti del martirio di san Biagio in tre comparti; 1902: c. 62, 282 (274). Atti del martirio di san Biagio, predella in 3 scomparti [corretto su tavola]. Alto 0.35, largo 2.70. Attribuito a Francesco Bonsignori ad un tempo era attribuito a Bartolomeo Montagna. Un po’ scrostati. Deperita. Legato contessa Paolina Porto; 1907: c. 31, 276 (274). Attribuito a Francesco Bonsignori, ad un tempo era attribuito a Bartolomeo Montagna. Atti del martirio di san Biagio. Predella in 3 scomparti, 0.35x2.70. Legato contessa Paolina Porto; 1908: 274 (162). Attribuito a Bartolomeo Montagna o a Francesco Bonsignori. Atti del martirio di san Biagio (predella in tre scomparti, 0.35x2.70). Nel 1908 si trova nella stanza dei vicentini. Nel 1873 si trovava nella stanza degli antichi vicentini al n. 19 coll’attribuzione a Bartolomeo Montagna. Nel catalogo a stampa del Magrini dell’anno 1855 porta il n. 57 della seconda stanza a tramontana, coll’attribuzione a Bartolomeo Montagna. Nell’inventario di consegna della Pinacoteca al Museo dell’anno 1854 si trova al n. 61 colle indicazioni: Bartolomeo Montagna, Martirio di san Biagio, 0.45x2.75. Pervenne alla Pinacoteca nel 1826 per legato Paolina Porto Godi col n. 25 e le indicazioni: Bartolomeo Montagna, Martirio di san Biagio in tre riparti; 1910-1912: 162 (167). Numerazione vecchia: 274 numerazione Commissione d’inchiesta 1908; 282 catalogo 1902; 19 cartellino; 19 catalogo 1873; 57 Magrini catalogo a stampa 1855; 61 inventario di consegna 1854; 25 n. del legato 1826; 162 catalogo 1912; 162 catalogo 1940; 162 inventario 1950. Provenienza: legato Paolina Porto Godi 1826; 1912 dalla chiesa di San Biagio di Vicenza. Collocazione: sala dei veneti antichi. Forma e incorniciatura: predella rettangolare in tre comparti. Dimensioni: alto m 0.35, largo m 2.70; inventario 1950 0.36x2.70. Materia e colore: tavola a tempera. Confronti: nel Museo di Padova n. 9 scuola di F. Squarcione, santa Degnamerita, san Girolamo e san Francesco; guardare specialmente il tipo di santa Degnamerita. Descrizione: Atti del martirio di san Biagio (Berenson interpreta le figure dei santi per san Rocco e san Sebastiano). Data: seconda metà secolo XV. Autore: Bartolomeo Montagna; Bonsignori G. Fogolari; non è mai stato Montagna, è uno squarcionesco (A. Venturi 4.10.1909); Michele da Verona (B. Berenson); Jacopo da Montagnana? (F.N. Vignola); scuola padovana (F.N. Vignola); catalogo 1912 scuola padovana; catalogo 1940 scuola padovana (c’è chi ha sostenuto e sostiene questa predella, opera di Bartolomeo Montagna, ma essa si discosta molto dalla sua arte e dalle sua tecnica, sicchè è stato ritenuto opportuno attribuirla in modo generico alla scuola padovana con la quale ha evidenti punti di contatto); inventario 1950 Domenico Morone? Berenson; prof. Schapiro di Londra (comunicazione orale 2.10.57) è piuttosto scadente per essere Morone, pensa sia pittore veronese-ferrarese; prof. Heinemann (comunicazione orale 13.2.62) forse Michele da Verona (vedi sue opere a Brera e al Correr). Bibliografia: B. Berenson, The venetian Painters of the Renaissance, New York 1906; Tancredi Borenius, The Painters of Vicenza, London 1909; F.N. Vignola, Appunti sulla Pinacoteca vicentina, Bollettino del Museo Civico di Vicenza, fasc. I, 1910. Iconografia: foto Alinari 44479, 44480, 44484 (scuola padovana del secolo XV).

Descrizione tecnica

La tavola aveva chiaramente, all’origine, la funzione di predella d’una pala d’altare; è pervenuta al Museo sotto il nome di Bartolomeo Montagna, che è stato sempre mantenuto per tutto l’ottocento. Soltanto Borenius, nel 1909, catalogandola fra le attribuzioni dubbie al Montagna, impostava in maniera perfetta il problema critico, rilevando da un lato che il suo autore era certo lo stesso responsabile della pala già in Santa Maria delle Grazie ad Arzignano, datata 1509, allora di proprietà Gasparoni a Vicenza, passata poi nella collezione di William Randolph Hearst a New York, e da molti anni dispersa; dell’altra tavoletta del Museo (cat. 26 A 41), con due santi francescani; e della Madonna col Bambino con le sante Chiara e Caterina e tre angeli nella Galleria di Stoccarda (n. 509). Questo gruppetto omogeneo di opere concordava, per lui, esattamente con gli affreschi di Domenico Morone nel monastero di San Bernardino a Verona; la tavola coi fatti di San Biagio veniva poi per la prima volta identificata come la predella della pala descritta da Ridolfi, Boschini e Buffetti sull’altar maggiore della chiesa di San Biagio a Vicenza, erroneamente ascritta al Montagna.

Di fronte a tanta chiarezza, la vicenda che ne è seguita è sin sconcertante per i suoi erramenti di giudizio; Vignola¹ (1910), sulla scorta di un parere orale di Adolfo Venturi che pensava ad un pittore squarcionesco, riferiva l’opera alla scuola padovana, forse a Jacopo da Montagnana, ricordando come Vasari (1568, III, p. 170) lo chiami “Jacopo Montagna”; le fonti vicentine avrebbero, per lui, contratto e trasformato il vero nome dell’autore della pala di San Biagio alla stessa maniera. Viene da dire che purtroppo, anche ai tempi di Vasari, esistevano gli errori di stampa. Sull’ipotesi “scuola padovana” erano allineati poi Ongaro (1912) e Fasolo (1940); Berenson, dopo aver fatto il nome di Michele da Verona, accedeva (1927) all’ipotesi Domenico Morone, e con lui Arslan (1934) e Pallucchini (in I Capolavori…, 1946¹ e 1946²); Fiocco (comunicazione orale dell’ottobre 1958) suggeriva invece il nome di Francesco Bonsignori, seguendo una vecchia idea del Fogolari (come risulta dall’inventario Vignola del 1912). Puppi (1958², 19587), nel fervore “vicentinocentrico” dei suoi anni giovanili, pensava a Domenico Morone, alla data assurdamente alta del 1470-80, che è in perfetto e totale contrasto di stile con la prima opera nota dell’artista, la Madonna di Berlino (n. 1456), firmata e datata 1484; rincarava la dose Barbieri (1962), per il quale la nostra tavola è “uscita da officina veronese, tra 1460 e ‘70”, quando cioè nella città scaligera lo stile rinascimentale, nonostante l’arrivo del trittico di Mantegna a San Zeno nel 1459, era ancora un mito nebuloso, come ben dimostra il trittico di Francesco Benaglio in San Bernardino, del 1462. Anche vent’anni dopo (1981) lo stesso studioso insiste sulla data circa 1470, a suo avviso nodale per chiarire come arrivi in questo modo, a Vicenza, una divulgazione assolutamente autorevole dei modelli di “mantegnismo riformato” tratti dagli affreschi Ovetari a Padova. Stavolta il nome di Domenico Morone è accettato con dubbio; e nulla conta il fatto che la prima opera nota dell’artista veronese, appunto la Madonna di Berlino, arrivi quasi quindici anni dopo. In una chiave di lettura sostanzialmente immutata (Verona, forse Domenico Morone, le componenti mantegnesche), forse un piccolo seme di cambiamento è da cogliere nel 1995, quando, per lo studioso, la data di arrivo dell’opera è il “tardo” XV secolo. Per Andreina Ballarin (1982), invece, non vi è alcun bisogno di conservare margini di dubbio: la tavola spetta a Domenico Morone, la data è fra il 1460 ed il 1470.

Nel frattempo, Hans-Joachim Eberhardt¹ (1974) aveva ribadito che la predella vicentina spetta a Domenico Morone, ad una data molto vicina alla pala già Hearst, cioè al 1509; ribadendo l’idea, con l’aggiunta anche di alcune opere nuove, nel 1986. L’opera, secondo lo studioso, faceva gruppo compatto col capolavoro del Morone, gli affreschi della Libreria Sagramoso, datati 1503, ma si rivelava ad essi di poco posteriore. Sembrava sfuggirgli, nel 1974¹, la provenienza vicentina della pala già Hearst, affermata dal Borenius (1909); cosa che gli è invece ben nota nel 1986, quasi che la contiguità spaziale contasse anche per quella cronologica. Tuttavia, nei lavori riguardanti il Morone di questi anni (cito, ad esempio, il saggio di Cuppini, 1981, che pure non menziona specificamente la nostra predella), ora l’una ora l’altra delle opere ritenute sue vengono staccate dal suo corpus e collocate a margine, come produzioni di artisti meno dotati della sua cerchia; a dare inizio a questo era stato Longhi (1947), che, pur confermando l’assoluto compattamento del gruppo “predella di San Biagio - affreschi di San Bernardino a Verona - Madonna Noseda (oggi Columbia-University of Missouri, n. 61.75-)”, affermava che si trattava di un gruppo diverso dal Morone, e più vicino al primo tempo di Girolamo dai Libri.

Più di recente (1994), Luciano Bellosi, denunciando il suo disagio a vedere raccolti sotto lo stesso nome dipinti certi del Morone, e quelli che fanno gruppo con la Libreria Sagramoso, è ripartito dall’idea di Longhi, proponendo di staccare dal corpus di Domenico, ridotto così piuttosto a poco, un nucleo più consistente di opere (per la precisione dodici, compresa la nostra predella), più alcune miniature e disegni, sotto il nome convenzionale di “Maestro della Libreria Sagramoso”. A parte qualche minimo disparere attributivo (personalmente toglierei oggi dal gruppo almeno un’opera, l’Ecce Homo con quattro santi di Castelvecchio a Verona, n. 262), l’insieme appare indubbiamente assai coerente e omogeneo, e la proposta da accogliere in toto. Come benissimo legge Bellosi, rispetto alla sottigliezza di stesura della Madonna di Berlino di Domenico Morone, il “Maestro Sagramoso” mostra “forme solide, robuste, intere, lucide”, un panneggio “sbalzato in solide lamiere di latta, senza la minima scalfittura”, un’arte “ben più semplice e schietta”; in cui, vorremmo aggiungere, la forma è ancora denunciata, anche nei suoi risalti volumetrici, attraverso un forte segno circoscrivente e un profondo chiaroscuro, esaltato dalla chiarezza dei toni, e il modo di narrare è apparentemente ingenuo, di favoleggiante candore, nel senso migliore “popolare”. Un gradevole sentore di vecchi tempi, quasi uno straniamento, nelle architetture volutamente rétro e di gusto fiorentino più che veneto, spira nella nostra tavola, in una sorta di convinto “neo-arcaismo”, se ci si perdona l’ossimoro; unito poi ad un “neo-mantegnismo” sollecitato dai modelli dell’ultimo Mantegna mantovano, non già quello di Padova, come pure si è più volte scritto.

Il “Maestro della Libreria Sagramoso” sarebbe dunque attivo, fra Verona e il territorio vicentino, nel primo decennio del cinquecento; e il fatto che egli dipingesse la pala di Arzignano, poi Hearst, nel 1509, rende effettivamente probabile che in un tempo molto simile egli abbia prodotto anche la predella della pala di San Biagio.

Bibliografia

Ridolfi, 1648, p. 92 (Bartolomeo Montagna); Boschini, 1676, p. 94 (Bartolomeo Montagna); Buffetti, 1779, I, p. 9 (Bartolomeo Montagna); Magrini, 1855, p. 57 (Bartolomeo Montagna); Magrini, 1863, p. 36 (Bartolomeo Montagna); Crowe-Cavalcaselle, 1871, p. 433 (Bartolomeo Montagna della fase giovanile); Elenco dei principali…, 1881, p. 6 (Bartolomeo Montagna); Foratti1, 1908, pp. 11, 38-39 (Bartolomeo Montagna della fase giovanile); Foratti2, 1908, pp. 219-221 (Bartolomeo Montagna della fase giovanile); Borenius, 1909, pp. 98-100 (Bartolomeo Montagna della fase giovanile); Vignola1, 1910, p. 16-19 (squarcionesco padovano; Jacopo da Montagnana); Borenius, 1912, pp. 98-100 (Bartolomeo Montagna della fase giovanile); Crowe- Cavalcaselle, 1912, p. 135 (Bartolomeo Montagna della fase giovanile); Ongaro, 1912, p. 69 (scuola padovana); Berenson, 1927, pp. 62, 66 (Domenico Morone); Clark, 1930, p. 78 (Bartolomeo Montagna); Berenson1, 1932, p. 377 (Domenico Morone tardo); Arslan, 1934, p. 11 (molto probabilmente opera tarda di Domenico Morone); Berenson, 1936, p. 324 (Domenico Morone); Fasolo, 1940, p. 130 (scuola padovana); Pallucchini¹, in I capolavori…, 1946, p. 103, cat. 173 (Domenico Morone); Pallucchini², in I capolavori…, 1946, pp. 101-102, cat. 173 (Domenico Morone); Longhi, 1947, p. 189 (vicino a Girolamo dai Libri); Arslan, 1949, p. 72 (pittore veronese); Barbieri, 1952, p. 8 (Domenico Morone); Magagnato, 1953, p. 174 (Domenico Morone); Barbieri1, 1954, p. 185-200 (Domenico Morone); Barbieri3, 1954, p. 37-40 (nei modi veronesi del ‘400); Barbieri3, 1956, p. 104 (quasi certamente di Domenico Morone); Barbieri-Magagnato, 1956, p. 174 (Domenico Morone); Puppi², 1958, pp. 170-172 (Domenico Morone); Puppi7, 1958, p. 4 (Domenico Morone); Barbieri, 1962, I, pp. 213-217 (Domenico Morone); Berenson, 1968, p. 281; Eberhardt¹, 1974, pp. 97-98, 99 (Domenico Morone); Barbieri, 1981, pp. 15, 31 (officina veronese, tra il 1460 e ’70); Ballarin An., 1982, pp. 74-75 (Domenico Morone); Eberhardt, 1986, pp. 104, 109, 111 (Domenico Morone); Lucco1, 1987, p. 166; Lucco2, 1987, p. 714; Bellosi, 1994, pp. 281, 300; Barbieri, 1995, pp. 44-48 (Domenico Morone); Lucco, 1999, p. 1310; Villa, 2002, pp. 40-41 (Domenico Morone).

Esposizioni

Verona, 1986.

Quest’opera appartiene al percorso: