Allegoria della Fragilità

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AutoreGiulio Carpioni e specialista di “nature morte” (Jacobus Victor ?) (Amsterdam? 1640 circa - 1705)
Periodo(Venezia? 1613 circa - Vicenza 1678)
SupportoTela, 125,7x100
InventarioA 102
Autore della schedaFabrizio Magani

L’opera è uno straordinario esempio di capriccio, ovvero di invenzione bizzarra costruita sull’intrecciarsi di allusioni e rimandi allegorici. “Quel putto a mezz’aria sembra uscire da un baccanale: ha un volto già vecchio, consumato, con un naso spropositato e occhi tristissimi; l’esito, così, non può essere che grottesco. C’è un che di malato nel ventre, un che di spudorato in quell’avanzare nel nulla con passo di danza, nell’accenno di moina” (Villa). Al suo fianco, fragili bolle di sapone si dissolvono nell’aria. Ai suoi piedi, invece, un realistico brano di natura morta - forse opera dell’olandese Jacobus Victor -, vede insolitamente accostati ad una naturalistica verza nobili frutti come le mele e i cedri, qui resi però quasi fossero delle patate. Sono inoltre visibili, sul basamento in secondo piano, due anatre che si becchettano completamente disinteressate alla scena.

L’intera immagine è espressione della fragilità umana: “che cosa c’è di più vano, in questa mescolanza di boria effimera, di giovinezza sciupata e vecchiaia insipida, di inutilità e volgarità ?” (Villa).

Il dipinto è una delle opere più singolari di Giulio Carpioni, uno degli artisti più amati dalla committenza privata vicentina del Seicento, che l’artista riuscì ad affascinare con un repertorio di opere estremamente ampio e differenziato (soggetti religiosi, ritratti, scene di genere, decorazioni d’interni). Nei suoi lavori Carpioni seppe coniugare ad un’istanza classicista derivata da Poussin, una sua personale tendenza naturalistica, che in alcune opere, come i baccanali, si spinge fino al grottesco.

Cartellini

1946 24925; 1949-1950 N.102/ Giulio Carpioni/ Le Bolle di Sapone tela cm. 125x100; 1954 8248; su carta bianca, a stampa con inchiostro nero Mostra della Pittura Italiana del Seicento e Settecento - Comune di Firenze/ 1003; su carta bianca, a stampa con inchiostro nero MUSEO CIVICO/ DI/ VICENZA/ Giulio Carpioni. Le Bolle di/ Sapone; su carta bianca, a stampa con inchiostro nero CASSA N. 1/ VICENZA; su carta bianca, a stampa con inchiostro nero CASSA S.G.V. N. 2/ SOPRINTENDENZA ALLE GALLERIE/ ED ALLE OPERE D’ARTE - VENEZIA 1965/ PARIGI - MOSTRA “ Il Caravaggio e la Pittura/ Italiana del ‘600/ Vicenza - Museo Civico/ G. Carpioni, “Fragilità” (detta “Le Bolle di/ Sapone”); su carta bianca, a stampa con inchiostro nero 102

Provenienza

legato Carlo Vicentini Dal Giglio, Vicenza 1834

Restauri

1999, Aurelia Rampon e Fiorella Soffini

Inventari

1834: 237. Don Ermano Stroifi padovano. Amore facendo bolle di sapone, in tela senza cornice. Lire 120; [post1834]: 236. Don Armano Stroifi. Amore facendo bolle di sapone, 443; 1854: 443. Don Armano Strozzi. Amore facendo palle di sapone; [1873]: Stanza Lomazzo, parete III, 41 (43). Don Ermanno Stroifi [depennato Carpioni] nato 1616, morto 1693. Genietto che fa bolle di sapone [corretto su genietto allegorico]; 1902: c. 93, (450). Amore che fa bolle di sapone. Tela, 1.28x1.05. Ermanno Stroifi. Buono. Buona; 1907: c. 45, (450) Ermanno Stroifi, padovano, nato nel 1616 fu allievo di Bernardo Strozzi genovese, morì in Venezia nel 1693. Amore che fa bolle di sapone. Tela, 1.28x1.05; 1908: 450 (102). Don Ermanno Stroifi. Amore che fa bolle di sapone (tela, 1.28x1.05). Nel 1908 si trova nella prima stanza a destra. Nell’inventario di consegna della Pinacoteca al Museo dell’anno 1854 porta il n. 443 e le indicazioni: Don Armano Stroifi. Amore che fa bolle di sapone. Pervenne alla Pinacoteca nel 1834 per legato Vicentini Dal Giglio col n. 237 e le indicazioni: Ermanno Stroifi, Amore facendo bolle di sapone, tela senza cornice, 1.28x1.00; 1910-1912: 102 (107). Numerazione vecchia: 450 numerazione della Commissione d’inchiesta 1908; 2 catalogo 1902; 102 catalogo 1912; 102 catalogo 1940; 102 inventario 1950. Provenienza: legato Vicentini Dal Giglio. Collocazione: sala dei settecentisti veneti. Forma e incorniciatura: rettangolare. Dimensioni: alto 1.28, largo 1.05; inventario 1950 1.25x1.00. Materia e colore: tela ad olio. Descrizione: Amore che fa le bolle di sapone. Autore: Ernano Stroifi; Giulio Carpioni (G. Fogolari 1910); catalogo 1912 Giulio Carpioni; catalogo 1940 Giulio Carpioni; inventario 1950 Giulio Carpioni; W. Arslan, 1956, p. 17, osserva che questo dipinto, come il ritratto di cui alla scheda 95, ha analogie stilistiche con il Martirio di santa Caterina, opera del Carpioni firmata e datata 28 ottobre 1648 e quindi appartiene al primo momento, a noi noto, del pittore veneziano, assieme con i lunettoni del Museo, di cui alle schede 328-330; si dice “primo tempo plasticheggiante”. Iconografia: foto Anderson 25038; foto Alinari 43347; foto Fiorentini (Ven.) CN 4524.

Descrizione tecnica

Sin dai primi riferimenti bibliografici il dipinto ha mantenuto la costante paternità di Giulio Carpioni, anche se le prime concordanze inventariali recavano il nome di Ermanno Stroiffi, il maestro padovano fedele alla lezione di Bernardo Strozzi.

Si tratta invece di uno dei più singolari esemplari dell’artista adottato dalla committenza vicentina, che seppe lusingare con un repertorio tra i più vari, in grado com’era di abbracciare il versante della decorazione d’interni, la tematica religiosa ed anche quella più propriamente di genere, impadronendosi di quei sottili significati allegorici cari al mondo del collezionismo seicentesco. Ne è prova il presente soggetto, a lungo spiegato quale rappresentazione di un amorino che, scherzando, gioca a fare le bolle di sapone. La lettura più corretta porta invece a dare un significato simbolico all’immagine, frutto di un’interpolazione fra l’Iconologia di Cesare Ripa, che allude alla fragilità (o alla “Fugacità della vita”) nella figura di una donna cui si può associare l’attributo delle bolle di sapone, e alcuni modelli di analogo significato divulgati da stampe provenienti dal mondo nordico, come ad esempio un esemplare pertinente all’ambito di Goltzius (Rigoni1, 1997) in cui sono proprio i putti in analoghe pose giocose ad essere protagonisti del tema allegorico, allusivo a quella fugacità ben determinata dalla bolla che si infrange al primo alito d’aria. Si può in più osservare che nel caso del dipinto vicentino è propriamente un amorino alato ad essere raffigurato, tanto da far pensare alla “Caducità dell’amore”. Il putto è effettivamente associato alla “Vita Umana”, come anche un altro pittore, il veneziano Antonio Bellucci, più tardi avrebbe ben interpretato nel soffitto dipinto su tela in palazzo Liechtenstein di Vienna raffigurante il Tempo rapisce la bellezza (Magani, 1995, p. 125).

La relazione con iconografie di derivazione nordica si è estesa anche all’autore del magnifico brano di “natura morta” in primo piano: cedri, pesche, verze e due anatre vive visibili sul basamento. Come per altri artisti del tempo, anche Giulio Carpioni sembra suggerire nel quadro la simbiosi di differenti specializzazioni, interessanti temi di confronto tra la propria esperienza nella “figura” e quella finalizzata alla realizzazione di sfondi paesaggistici o di nature morte (Dusman, Sferini, Ghisolfi, Biggi). Nel caso specifico del dipinto vicentino si è fatto il nome del fiammingo Jacob van de Kerckhoven, forse il più prolifico esperto di nature morte presente a Venezia nella seconda metà del seicento, vicino molto probabilmente anche a Gregorio Lazzarini sul finire del secolo sempre in veste di pittore di frutta e ortaggi, come dimostrerebbe la straordinaria Scena di mercato di collezione privata (Craievich, in Officina…, 2002, pp. 100-101). Documentata anche la collaborazione con il “figurista” Antonio Zanchi in un dipinto appartenuto al maresciallo Johann Matthias von der Schulenburg (Binion, 1990, p. 205: “…cucina con un Cuoco, et una Cuoca Giovane con diversi Animali, e Carnami”).

Recentemente Alberto Craievich (2001, p. 688, nota 62) ha rilevato come la diffusione nei centri dell’entroterra veneziano di opere di Jacobus Victor e Jacob van de Kerckhoven porti a considerare come i due maestri inviassero da Venezia le loro opere, piuttosto che pensare a più lunghi soggiorni in determinati luoghi: l’esistenza, ad esempio, presso il Museo cittadino di esemplari del Victor e di Kerckhoven, o del pendant di nature morte presso la Staatsgalerie di Stoccarda siglato dal maestro fiammingo e provenienti dalla raccolta Barbini Breganze, ha fatto immaginare la compresenza dei due artisti in ambito vicentino (Pietrogiovanna, in Carlo Cordellina…, 1997, pp. 272-274), permanenza che avrebbe potuto favorire la collaborazione con Giulio Carpioni. Margaret Binotto (2000, I, p. 283), in tal senso, ha osservato che se va accettata la datazione dell’Allegoria della Fragilità verso il 1650-1655, stando alla tradizionale scansione proposta da Arslan che ravvisava in quell’epoca la soda volumetria dei risultati di Carpioni, quel momento sarebbe troppo precoce per immaginare la vicinanza dei due più giovani artisti nordici. Ma potremmo forse ammettere che un’estensione della cronologia a primi anni sessanta non sarebbe eventualità incompatibile col percorso stilistico di Carpioni. In questo modo la figura di Jacobus Victor potrebbe essere abilitata tra i possibili collaboratori del maestro attivo a Vicenza: la Natura morta con cacciagione, frutta e ortaggi,giunta alle civiche raccolte tramite il legato Vicentini Dal Giglio (cat. 263 A 265), reca una data parzialmente leggibile, ma in passato proposta come 1661, e l’artista era documentato di ritorno ad Amsterdam all’inizio del 1671. In questo decennio può cadere la collaborazione con Giulio Carpioni che, per motivi squisitamente formali, sembra più plausibile di quanto proponga l’analisi dei modi di Kerckhoven, possibile vicinanza da studiare anche nel dipinto intitolato Contadina con animali da cortile tra rovine già in collezione Aldo Briganti di Roma (Pilo1, 1961, pp. 48, 108, ill. 118). Certo questo tipo di combinazioni si presta all’alto grado di relatività cui può giungere la lettura di un testo che, a tutta evidenza, non è nato quale genere autonomo; la necessità di armonizzare la figura al brano di “natura morta” deve necessariamente aver limitato specialisti all’epoca abituati a espressioni di alto valore scenografico. Il dato tecnico mostra invece con una certa sicurezza che ad essere dipinta per prima fu la “natura morta” e che l’amorino è stato impaginato successivamente, un’alternanza di ruoli che fa comprendere come i due specialisti non necessariamente dovessero lavorare a stretto contatto: il maestro abile nella pittura di genere poteva anzi servirsi del nome del più richiesto artista sulla piazza vicentina per garantirsi la diffusione di un repertorio di frutti, ortaggi e animali senza dubbio molto apprezzato dal collezionismo contemporaneo, dunque in vista dell’apertura di nuovi possibili mercati. D’altro canto il discreto numero di quadri di Carpioni con fanciulli e nature morte può testimoniare come il maestro avesse colto il sicuro successo cui era destinata una simile proposta iconografica e, forse non abbastanza certo di essere sufficientemente all’altezza in quel particolare repertorio, quanto avesse curato i dettagli dell’iniziativa ricorrendo a fidati collaboratori che ne garantissero la riuscita.

Tra questi vi era forse anche Francesco Mantovano (notizie dal 1636 al 1663), cui spetterebbe la realizzazione di inserti floreali in dipinti di chiara paternità carpionesca, come di recente è stato proposto nel volume Naturaliter: nuovi contributi alla natura morta (1998), artista che tuttavia non pare possa essere indicato anche per la collaborazione che ha portato alla redazione del dipinto vicentino, del tutto affine, invece, all’Allegoria dell’Olfatto della Galleria degli Uffizi (Firenze).

Bibliografia

Ongaro, 1912, p. 54; Rumor, 1914, pp. 139-140; Tarchiani, 1922, p. 55; Ojetti-Dami-Tarchiani, 1924, ill. 73; Fioccox, 1929, p. 35; De Logu, 1931, p. 70; Fasolo, 1940, p. 112; Pallucchini, 1945, p. 110; Nebbia, 1946, p. 109; Barbieri-Cevese-Magagnato, 1953 (ed. 1956), p. 180; Arslan, 1956, p. 17; Pigler, 1956, p. 580; Pilo, 1959, p. 34; Muraro, 1960-1961, p. 33; Pilo1, 1961, pp. 120-121; Barbieri1, 1962, pp. 53-54; Pallucchini, 1981, p. 209; Ballarin An., 1982, p. 148; Barbieri, 1995, pp. 100-101; Rigoni1, 1997, pp. 138, 149-150, 159-160; Bocchi, in Naturaliter…, 1998, pp. 408-409; Binotto, 2000, pp. 282-283; Paliaga, 2000, pp. 81-82; Paliaga, in Natura morta…, 2002, p. 238; Villa, in Palazzo Chiericati…, 2004, p. 24.

Esposizioni

Firenze, 1922, p. 55, cat. 219; Londra, 1930, p. 49, cat. 32; Venezia, 1945, p. 110, cat. 11.

Quest’opera appartiene al percorso: