Giulietta e Romeo, 1882
Autore | Pietro Roi |
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Periodo | Sandrigo (Vicenza) 1819 - Venezia 1896 |
Datazione | 1882 |
Supporto | Olio su tela, 160x250 |
Inventario | A 561 |
Autore della scheda | Margaret Binotto |
Iscrizioni
firmato e datato, in oro, sul bordo della lastra tombale a sinistra, alle spalle di Romeo: p roi fece 1882
Cartellini
in alto a destra, sulla cornice originale, su carta rossa, a stampa: comune di vicenza / Inventario 1954 / n. 8279; sull’orlo della tela sporgente dal telaio, in basso a sinistra, su carta bianca, a stampa e a penna: museo civico vicenza / n. M-I / Roi - Giulietta e Romeo
Provenienza
dono Pietro Roi, Vicenza 1886 (MCVi, Museo, Protocolli, reg.1, prot. n. 15 del 1886, ago. 28: il sindaco Giuseppe Zanella invia alla Commissione alle cose patrie “copia del processo verbale 8 luglio passato nel quale dichiara che la società costituitasi nel luglio 1853 in favore del distinto pittore Pietro Roi delibera di accettare il suo quadro rappresentante la morte di Giulietta e Romeo quale soddisfazione dell’obbligo da lui assunto – nell’atto di offrire tale suo quadro al Municipio, affinché disponga sia collocato nel civico Museo come proprietà del Comune, di più le dice di avere già ringraziato la società donatrice una sì cospicua opera”; 1886, set. 8: la Commissione risponde che ritiene di dover render noto il dono del dipinto sulla stampa cittadina; MCVi, Museo,Verbali, reg. n. 2 c. 13, verbale del 1886, set. 8: la Commissione alle cose patrie delibera “di rimettersi, quanto al modo di far pubblico il dono del dipinto rappresentante Giulietta e Romeo, alla Giunta municipale”; segue a c. 33, verbale del 1895, gen. 13: la Commissione alle cose patrie, al punto 2 all’ordine del giorno “delibera l’acquisto di un cavalletto per il collocamento del quadro del signor Pietro Roi Giulietta e Romeo”; segue a c. 34, verbale del 1895, mar. 3: con cui “si sollecita il compimento del cavalletto”)
Restauri
1989, corest (Gea Storace, Stefano Provinciali);1999, Francesca Mariotto; 2017- 2018, Carlotta Dal Santo
Inventari
1902: c. 138, 391. Giulietta e Romeo. Tela a olio. Pietro Roi. Alto 1 × 2.45. Dono dell’autore al Municipio; 1908: 561, (391, 546). Pietro Roi. Giulietta e Romeo. Nel 1908 si trova nella I Sala dei moderni; 1910-1912, aggiunta 1954. Numerazione vecchia: 561 inventario 1950. Forma e incorniciatura: rettangolare. Dimensioni: 1.60 × 2.50. Materia e colore: tela dipinta a olio. Descrizione: Giulietta e Romeo. Autore: 1950 Pietro Roi
Descrizione tecnica
Il dipinto, firmato e datato al 1882, venne donato da Pietro Roi al Museo nel luglio del 1886, anche se già nel maggio precedente un articolo del giornale “La Provincia di Vicenza” ne menzionava l’avvenuta esposizione nella Pinacoteca e l’apprezzamento del pubblico (“vanno a vederlo sempre molte persone”, 27- 28 maggio 1886). La Commissione alle cose patrie, riunitasi nel settembre 1886, per ratificare la ricezione dell’opera, reputava “doveroso” rendere noto tramite stampa “l’atto nobilmente generoso” del concittadino pittore. Conferma della considerazione di cui godette il dipinto è l’apprezzamento espresso da Luigi Ongaro, direttore del Museo, quando, scrivendo alla moglie di Giovanni Basile Roi, Giovanna Ugatti, per ringraziare il marito della decisione di donare nel 1914 l’Autoritratto del padre Pietro (cat. 65), definiva il Giulietta e Romeo “capolavoro di squisita intensità espressiva da cui luminosamente rifulgono la genialità e la valentia dell’artista geniale” (MCVi, Museo, Copialettere, reg. 1, c. 443, 1915, feb. 1). Riguardo alla replica di formato ridotto del dipinto, che sarebbe stata premiata con la medaglia d’oro all’Esposizione di Colonia nel 1889 (Scardino, in La pittura, 1986, p. 10 e Castellani, 2000), Mario Saccardo nel 2007 (ripreso da Olivato, 2008, p. 429) interveniva a meglio precisare quanto avvenuto nella città tedesca. Nell’articolo del giornale “Il Berico” (5 e 6 agosto 1889), segnalato dallo studioso si legge: “il vicentino prof. Pietro Roi l’autore del quadro rappresentante la tragica fine di Romeo e di Giulietta che è collocato da tempo parecchio nel nostro Museo, fu premiato con medaglia d’oro per un quadro esposto [a Colonia] rappresentante Romeo che canta sotto il verone sposando la canzone al suono d’un liuto”. Furono dunque due le opere che Roi dedicò al racconto degli amanti veronesi, con iconografie e dimensioni differenti. Nell’opuscolo a stampa edito nel 1888 per le Nozze Roi-Fogazzaro, Domenico Maddalena, delineando i momenti più significativi della biografia dell’artista, illustra gli avvenimenti che portarono alla realizzazione della tela in esame. Nell’agosto 1853 Roi, grato ai propri concittadini per averlo sostenuto negli studi, si rivolge a essi per raccogliere “Centocinquanta Azioni di due annui pezzi da venti franchi l’una duratrice per tre anni”, allo scopo di “dipingere tutto il vasto soffitto col fregio della sala maggiore” del palazzo già Chiericati, nel quale il Municipio vicentino aveva all’epoca in animo di aprire “un degno asilo all’Arte e alla Scienza”, come effettivamente accadrà nell’agosto 1855, con l’inaugurazione del Museo. Nel soffitto l’artista avrebbe raffigurato “Storie, ritratti, allusioni, uomini e cose Vicentine” (MCVi, Museo, Atti generali. I serie, Rubrica III, Edificio, fasc. 1 sottofasc. 4, 1853, ago. 4). Sollecitato dall’invito di Roi un gruppo di vicentini costituì dunque nel 1853 una società per raccogliere il denaro necessario al compimento del grandioso dipinto murale (vedi campo provenienza). La mancata realizzazione della decorazione fa supporre che la somma raccolta fosse stata insufficiente per dare seguito al progetto e non è chiaro se il pittore avesse ricevuto un anticipo; certo è che più di trent’anni dopo, come dice Maddalena (1888, p. 75), Roi consegnò “alla sua città elettiva, per affetto di riconoscenza, un bellissimo quadro ‘Giulietta e Romeo’ accettato con soddisfazione dall’Accademia Olimpica, quale rappresentante i sottoscrittori suddetti” (p. 75). La tela, esposta nel 1908 nella I Sala dei moderni al piano nobile del palazzo, risultava pochi anni dopo già espunta dal percorso espositivo della quadreria. Infatti nel 1912, tra il febbraio e il giugno, durante i lavori preparatori per la riapertura al pubblico del Museo (dopo le note vicende della Commissione d’inchiesta istituita a seguito di ammanchi e restauri di opere mai autorizzati), i commissari alla cose patrie si trovarono a fronteggiare anche le “continue richieste dei visitatori” di poter vedere la monumentale opera di Roi. Durante vari sopralluoghi ipotizzarono l’allestimento provvisorio “della Giulietta e Romeo di Roi e del Dante di Peterlin” tra i pezzi di Storia Naturale nella prima sala al pianterreno, nascondendo con un semplice addobbo di stoffa le vetrine dell’avifauna (MCVi,Museo, Verbali, reg. 3, 1912, feb. 11, feb. 18, feb. 25). Il primo giugno 1912 il Museo civico fu riaperto al pubblico e il giorno successivo un articolo del giornale “Il Berico”, siglato G.d.M, dedicò una lunga pagina all’illustrazione del “mirabile riordino della Pinacoteca”. Tuttavia, il pezzo giornalistico si concludeva con un capitolo intitolato “Fuori del Museo”, in cui si evidenziava proprio l’anomalia della collocazione incongrua dei due dipinti, suggerendo come il “Museo di Storia Naturale dovrebbe andar trasferito nell’attuale sede degli Asili d’Infanzia [situati all’epoca nell’ala novecentesca, poi bombardata nel 1944] e nelle sue sale si ordinerebbero i dipinti di arte moderna (finora non furono che provvisoriamente esposti la Giulietta e Romeo del Roi e il Dante del Pittarlin) le preziose e interessantissime stampe, la numismatica, il medagliere, la metalloteca, i disegni palladiani e la raccolta di stampe canoviane”. Nel 1916, nel clima concitato e tragico della prima guerra mondiale, la Commissione alle cose patrie, su richiesta del sindaco, manifestava la propria disponibilità a ospitare nel mese di giugno in alcune sale del Museo, tra cui, “il salone, le logge, la sala stranieri e la saletta detta ‘Giulietta e Romeo’ [...] una mostra d’arte e di lavori femminili a beneficio della organizzazione per la guerra” (MCVI, Museo, Verbali, reg. 3, 1916, apr. 4). Risulta dunque evidente la permanenza anche negli anni successivi del quadro di Pietro Roi in un ambiente modesto, tra le collezioni naturalistiche, al piano terreno. L’allora ispettore della soprintendenza veneziana, Gino Fogolari, giustificava la mortificante collocazione del Giulietta e Romeo, perché Roi, come anche alcuni poeti della prima metà dell’Ottocento, era “passato di moda”, caduto “in completo discredito” (1927, in Scardino, in La pittura, 1986, p. 45; Schiavo, 1997; Olivato, 2008, p. 431). Le motivazioni di quella scelta si leggono nel discorso pronunciato dallo stesso funzionario il 18 dicembre 1927, in occasione dell’inaugurazione della sala grande del Municipio di Sandrigo, in cui si era deciso di esporre la tela raffigurante Manfredi riconosciuto dai suoi familiari dinanzi a Carlo d’Angiò, trovata nell’atelier veneziano del pittore, all’indomani della sua morte (Fogolari, 1927, in Scardino, in La pittura, 1986, pp. 45-51; Idem, in Disegni, 1993, p. 28). Con evidente disagio, il Fogolari faceva ammenda per aver approvato la decisione di allontanare il Giulietta e Romeo dalle “gloriose sale della Galleria di Vicenza, quella Galleria che, voi sapete, è una delle prime al mondo per i quadri del Montagna, del Cima, del Bassano, del Maffei, del Piazzetta, del Tiepolo [...], tutti splendidi del colore più morbido, più intonato ed affascinante che si sia mai veduto [...] ora quel quadro che rappresenta, nella tetraggine di una cripta, tutta sepolcri, steso come morte un uomo, Romeo, e sopra in atto di disperazione Giulietta, con una veste tutta bianca, di un bianco tutto un tono, a quel che ricordo, intero e irritante, faceva in mezzo a quegli incanti coloristici, l’effetto di una doccia ghiacciata, tanto che nel nuovo riordinamento, e io stesso ne diedi il consiglio, si dovette togliere di là quella tela, in attesa di preparare una sala per essa o per gli altri quadri dei pittori Vicentini dell’Ottocento come il Peterlin e il Busato”. Alla riapertura al pubblico della Galleria “senza il dipinto romantico del Roi, molte e vivaci furono le proteste, tanto nella gente minuta del popolo che fece correre la diceria lo si fosse venduto a gran prezzo all’estero, quanto anche fra le Dame gentili delle nobili famiglie. Era un quadro che aveva fatto battere molti cuori innamorati e versar molte lacrime. Oggi io mi domando: era stata commessa allora, in linea d’arte cosa ingiusta da noi? Non credo” (1927, in Scardino, in La pittura, 1986, p. 45). Se, come osserva Castellani, “Fogolari poteva ancora esercitare dell’ironia, con quell’accenno alle platee femminili e popolari” (2000), tuttavia ammetteva “contritamente” che al dipinto si sarebbe dovuto riservare “un ambiente a sé”, in modo da potere “guardarlo con maggior grazia sotto la luce” e “nello spirito del tempo” (1927, in Scardino, in La pittura, 1986, p. 49), guardarlo dunque “storicamente, e vorrei dire spiritualmente” (ivi, p. 46). Così dicendo riconosceva la necessità di “non misconoscere, prima di averli studiati e conosciuti, tutti i nostri artisti [tra cui Pietro Roi], anche del freddo periodo della prima metà dell’Ottocento” (ibidem). Proprio l’intonazione sentimentale e narrativa della Morte di Giulietta e Romeo e l’inserimento dell’opera nella corretta prospettiva della pittura storico-letteraria del XIX secolo ne hanno consentito, pur se con ritardo, la comprensione e rivalutazione, testimoniata negli ultimi due decenni da una rinnovata fortuna, iniziata con l’esposizione alla mostra vicentina del 2000 e proseguita con le esposizioni di Parma del 2001 e di Illegio (Udine) del 2017. La magistrale ambientazione architettonica della scena, la cui elaborazione è documentata da due disegni, entrambi di collezioni private (Scardino, in La Pittura, 1986, p. 32, fig. 32 e Idem, in Disegni, 1993, p. 59), rivela interessanti consonanze compositive con gli studi preparatori che Giovanni Busato, noto rivale di Roi, dedicava fra il quarto e il quinto decennio alla realizzazione del dipinto con l’Uccisione di Paolo e Francesca, di ubicazione ignota, ma documentato da una fotografia dello studio vicentino Farina-Bolo, allegata al disegno inv. D 1152 (Gabinetto Disegni e Stampe dei Musei Civici di Vicenza) (Brandellero, 2001-2002, pp. 128-129; Zampieron, 2015-2016, pp. 56-57). La conoscenza reciproca dei due artisti e la loro partecipazione a un medesimo clima culturale si palesano nel confronto fra l’empito melodrammatico dei protagonisti e l’impostazione spaziale “neogotica”, innervata di una forte tensione chiaroscurale del Giulietta e Romeo, e le analoghe scelte compositive di Busato, impegnato a cercare di tradurre in immagine il verso dantesco “Amor condusse noi a una morte. / Caina attende chi a vita ci spense”(Inferno, canto V, vv. 106- 107). Fra le numerose prove grafiche, dedicate da Busato al soggetto dantesco, nei fogli invv. D 1155 e 1556 (Gabinetto Disegni e Stampe dei Musei Civici di Vicenza), l’acme della tragedia, la iuncta mors, si esplicita nel finale abbraccio dei disperati amanti, al cospetto dell’assassino Gianciotto (Zampieron, 2015-2016, pp. 62-65). La forza dell’invenzione busatiana, in particolare nel foglio inv. D 1156, non deve essere sfuggita a Roi, soprattutto per la somiglianza dei drammi vissuti dalle due coppie di innamorati. Il dipinto in esame è stato messo più volte in relazione con l’Ultimo bacio di Giulietta e Romeo (Tremezzina [Como], Villa Carlotta) di Francesco Hayez (1823), opera che aveva avuto “un immediato effetto dirompente” nel panorama della pittura dell’epoca, essendosi imposto d’acchito come “autentico manifesto romantico” (Bertolucci, 2015, pp. 124-126, cat. 23). Concordo con Castellani quando afferma che dal dipinto del maestro veneziano Roi deriva sì “la materia sontuosa dell’abito di Giulietta”, ma, soprattutto, “l’espediente retorico del frate che, in procinto di entrare da destra, dilaziona i tempi del racconto e ne prolunga la ricaduta emotiva, come nel celebre Bacio” (2000). Se elementi hayeziani si scorgono inoltre nell’intonazione fredda dei colori e nel collo vigoroso di Romeo (Lombardi, 2001, p. 110), l’erotismo del Bacio di Tremezzina si stempera e si illanguidisce nel dipinto vicentino, in cui le note sensuali della passione vengono affidate al velluto rosso dell’abito di Romeo e al raso lucente della tunica di Giulietta. L’attenzione di chi guarda viene catturata da quell’ultimo dialogo disperato degli amanti, incardinati nel monumentale triangolo al centro della scena: nel tragico finale, che non è quello shakespeariano che raffigura Romeo già morto quando Giulietta si risveglia, bensì quello della versione di Luigi Da Porto (Olivato, 2008, p. 430), in cui la giovane Capuleti “diliberando di più non vivere, raccolto a sé il fiato, ed alquanto tenutolo, e poscia con un gran grido fuori mandandolo, sopra il morto corpo morta si rese” (Giulietta e Romeo, 1831, p. 43). Tale scelta iconografica viene chiarita dallo stesso pittore in una lettera scritta all’amico conte Fabrizio Franco, citata da Maddalena (1888, pp. 75-76) e, a mia conoscenza, fino a oggi sfuggita alla critica: “per l’amore dell’arte e per voglia di fare, scelsi il momento tragico più difficile di tutta la dolorosa storia, tanto più che di diverse composizioni e dipinti che vidi sul medesimo soggetto, non ho mai veduto e trattato lo stesso momento. Tale scelta mi costò molto, perché per esprimere quello che sentivo, quello che il Da Porto espresse così sovranamente era superiore alle forze di qualunque artista. La movenza di Giulietta che grida disperata mi costò fatica assai”. Nel volto dell’eroina veronese, straziato dal dolore, e nel gesto della mano portata alla fronte, Roi cita nuovamente il maestro Hayez: questa volta la fonte iconografica è il viso di Maria Stuarda che sale al patibolo (1827, Milano, collezione Banca Cesare Ponti). Così forte era stata la suggestione del modello, che il pittore vicentino aveva iniziato a citarlo sin dal 1855 nel capo dello scudiero inginocchiato sulla destra della grande tela con il Manfredi riconosciuto dai suoi familiari dinanzi a Carlo d’Angiò (Sandrigo, Municipio). Il volto affranto di Giulietta compare inoltre in un disegno di collezione Morsiani di Ferrara (Scardino, in La pittura, 1986, p. 31, fig. 31) e nel bel pastello (45,5 × 60 cm) della collezione Banca Popolare di Vicenza (in Rigon, 2014, p. 112). Tanta intensità espressiva si esprime attraverso “una potenza di segno che non teme d’alcuna difficoltà” (Cabianca, 1855, p. 119) e che risolve la suggestiva ambientazione architettonica in un disegno che “è tutto geometria” (Boito, 1877, p. 113), cui fu di aiuto anche un modello fotografico (vedi Scardino, in Disegni, 1993, p. 26). La cripta della chiesa gotica, “severa come si addice al gusto veronese e vicentino” (Schiavo, 1986), si articola in una sequenza di spazi, in cui le gradazioni degli ocra e dei grigi, ora plumbei ora argentei, scandiscono i piani della scatola prospettica. Si scorgono, a tratti, dove la pellicola pittorica è più sottile, le linee della struttura architettonica eseguite a matita sulla preparazione, lasciate talvolta a vista, talvolta coperte dal colore. Fa da sfondo alla scena centrale una parete con tomba pensile con due scudi ai lati e al centro il bassorilievo con la Vergine e il Bambino. A sinistra, dall’oscurità emerge un monumento sepolcrale con la statua del defunto sul coperchio. Alle spalle di Romeo la “splendida invenzione del Roi che batte tutto l’armamentario medioevaleggiante della pittura romantica ed è l’oggetto parlante della candela appena spenta con il filo di fumo che si dissolve nell’aria, un triste presagio della sorte dei giovani amanti” (Schiavo, 1986, p. 49). La profondità e lo scorcio del pavimento sono suggerite dal diverso trattamento delle superfici: scabro e rugoso sulla lastra di pietra del primo piano, sulla quale risalta la lucente trasparenza dell’ ampolla del veleno; levigato e lucido il marmo su cui giacciono gli amanti. Una luce teatrale illumina la coppia, soffermandosi sui rasi del mantello di Romeo, sul velluto color prugna del suo abito fino al bianco traslucido della tunica profilata di seta gialla di Giulietta. Le pennellate si addensano mano a mano verso la superficie fino ad arrivare a stesure in rilievo come nel tessuto operato con motivi geometrici dell’abito giallo, lasciato scoperto dalla tunica bianca, della Capuleti. L’originalità e il fascino di questo dipinto, che si può giustamente considerare il “capolavoro storico” di Pietro Roi (Castellani), risiedono nell’equilibrio tra la rappresentazione “romantica” del dramma, che raggiunge l’apice del crescendo narrativo nel singulto angosciato della giovane donna, e la rigorosa impaginazione “purista” degli spazi.
Bibliografia
“La Provincia di Vicenza”, 27- 28 maggio 1886; “Il Berico”, 27 maggio 1886; Maddalena, 1888, p. 75-76; De Gubernatis, 1889, p. 427; “Il Berico”, 5-6 agosto 1889; Fogolari 1927, in Scardino, in La pittura, 1986, pp. 45, 50; Chiesa, 1986; Menato, 1986, p. II; Nogara, 1986, p. 3; Sgarbi, 1986, pp. 4-5; Scardino, in La pittura, 1986, p. 10; Il lascito di Neri Pozza, 1989, p. 25; Mazzocca, 1989, p. 76; Rigon Barbieri, 1991c, p. 216 e 1991d, p. 995; Bevilacqua, 1993, tav. f.t.; Scardino, in Disegni, 1993, pp. 25-27; Saccardo, 1994, p. 5; Schiavo, 1997, p. 26; Castellani, in Musei Civici di Vicenza, 2000, pp. 150, 152-153, cat. 109; Guderzo, 2000, p. 132; “Kos”, 2000, pp.18-19; Zironda, 2000, pp. 31, 32 n. 50; Lombardi, 2001, pp. 109-111, cat. 55; Brandellero, 2001-2002, p. 129; Tomasi, 2001-2002, pp. 52-53; Pranovi, Rigon, 2002, pp. 285-286; Brotto Pastega, 2003d, p. 26; Brotto Pastega, 2003f, p. 806; Saccardo, 2007, p. 32; Olivato, 2008, pp. 425-436; Cinque secoli di volti, 2012, p. 66; Zampieron, 2015-2016, p. 47; De Gasperin, 2017, p. 108; Franzo, 2017, p. 144; Conti, 2018, pp. 120-121, 124-126.
Esposizioni
Vicenza-Sandrigo 1986, p. 33, cat. 33; Vicenza, 1989, p. 25, n. 1.a.7: Vicenza, 2000, pp. 152-153 cat. 109; Parma, 2001, pp. 109-111, cat. 55; Illegio (Udine), 2017, p. 108.