Dormitio Virginis, San Francesco d’Assisi, Sant’Antonio da Padova

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AutorePaolo Veneziano
Periodo(Venezia documentato dal 1333 al 1358 - morto ante settembre 1362)
SupportoTavola, 1a: 112x77; 1b: 89x23; 1c: 90x23
InventarioA 157
Autore della schedaMaria Elisa Avagnina
Pannello centrale del polittico

Giunto da Venezia nel 1333, questo prezioso polittico a fondo oro, realizzato da Paolo Veneziano capostipite dell’arte pittorica nella città lagunare, venne collocato sull’altar maggiore della chiesa di San Lorenzo a Vicenza.

Fu poi protagonista, nei secoli successivi, di una storia travagliata e rocambolesca. Rimosso dalla sede originaria nel 1586, venne in seguito trasportato in refettorio, perché il suo linguaggio non rispecchiava il gusto del tempo. Passò poi in sacrestia e, a seguito delle soppressioni napoleoniche, entrò a far parte del patrimonio della famiglia Porto Godi, che probabilmente acquistò le tre tavole oggi rimanenti dell’intera opera. Il dipinto, poco considerato dai proprietari, fu abbandonato in un ripostiglio e inaspettatamente recuperato dagli eruditi vicentini Leonardo Trissino e Leopoldo Cicognara. La contessa Maddalena Porto Godi donò l’opera a Francesco Testa che, a sua volta, la vendette a Leonardo Trissino; solo alla sua morte, il figlio Alessandro la lasciò al Museo vicentino (1849).

In epoca imprecisata, l’opera fu racchiusa entro una cornice neogotica e vi si aggiunsero sedici tavolette, con santi a mezza figura, dipinte da Battista da Vicenza. Solo nel 1909, la falsa cornice venne smontata e il dipinto cominciò ad essere apprezzato per il suo valore.

Firmato e datato 1333, il polittico vicentino rappresenta la prima opera documentata di Paolo Veneziano, qui impegnato a fondere due linguaggi figurativi diversi, uno di ispirazione bizantina e l’altro volto ad assimilare le novità della cultura figurativa occidentale, espresse da Giotto. La tavola centrale raffigura, secondo lo schema iconografico proprio delle icone bizantine, l’episodio della dormitio della Vergine, cioè del suo addormentarsi e non morire, poiché sarebbe stata assunta in cielo con il corpo dal Figlio. La Madonna è distesa su un letto, circondata dagli apostoli e dagli angeli. Cristo trattiene tra le braccia l’anima di Maria bambina che, staccatasi dal corpo, rinasce tramite la morte all’eternità. Degli scomparti laterali rimangono soltanto le tavole raffiguranti san Francesco con le stigmate e il libro aperto e sant’Antonio da Padova.

L’artista impreziosisce la superficie pittorica utilizzando materiali rari e pregiati tra cui l’oro, il lapislazzuli e lo smaltino.

Iscrizioni

sul bordo inferiore della Dormitio Virginis: +MCCCXXXIII PAULUS D(E) VENECIIS. PI(N)XIT H(O)C OPUS; in alto, in rosso sul fondo d’oro: ASU(N)CIO VIRGINIS MARIAE, sul nimbo crocesignato di Cristo R(E)X; sui pannelli laterali, sul fondo d’oro al di sopra dei santi, rispettivamente S(ANCTUS) FRANCI(S)CU(S) e S(ANCTUS) ANTONIUS; sul libro tenuto aperto da san Francesco incipit Ego ei stigmata

Provenienza

Vicenza, chiesa di San Lorenzo dei Padri Minori Conventuali, altar maggiore; famiglia Porto Godi, Vicenza 1797; Francesco Testa; Leonardo Trissino; legato Alessandro Trissino, Vicenza 1849-1852 (MCVi, Museo, Legati, fasc. “legato Alessandro Trissino”, che conserva il verbale di consegna del 1852, mar. 18, che riporta: “Un dipinto del pittore Paolo da Venezia rappresentante 19 quadrettini in campo d’oro, in tre di mezzo il Transito della Madonna ed ai lati due santi frati e sedici più piccoli sono mezze figure di cui cinque mezze perdute, il tutto unito da una cornice di un gotico moderno”)

Restauri

1948, Giuseppe Giovanni Pedrocco; 1989, Antonio Bigolin

Inventari

1854: 96. 3.00. 2.00. Paolo da Venezia. Assunzione di Maria vergine con varii comparti; [1873]: Stanzino antichi, parete II, 10. Paolo da Venezia. Ancona col nome dello autore e sua epoca 1333. Il transito di Maria con santi e angeli, in 19 comparti. In tavola; 1873a: c.6, 13. Paolo da Venezia (1333). In tavola. L’assunzione di Maria vergine con santi ed angeli in diecinove comparti; 1902:c. 54, 250 (241). 243. Morte e assunzione di Maria vergine con angeli e santi [depennato in 19 comparti]; ancona [depennato piramidale] in 11 scomparti opera eseguita da Paolo Veneziano nel 1333. Vi fu aggiunta una predella in otto scomparti in mezze figure di santi dipinta da Battista da Vicenza. Tavola [depennato ad olio]. Alto 2.00, largo 1.90. Paolo da Venezia e Battista da Vicenza. Molto guasto alla base. Buona. Dono del conte Alessandro Trissino. Oltre i nomi di vari santi, avvi nel grande scomparto di mezzo la firma dell’autore in caratteri onciali; 1907: c. 27, 243 (241). Paolo da Venezia e Battista da Vicenza. Morte e assunzione di Maria vergine con angeli e santi in 11 scomparti. Opera eseguita da Paolo Veneziano nel 1333. Vi fu aggiunta una predella in otto scomparti con mezze figure di santi dipinta da Battista da Vicenza. Dono del conte Alessandro Trissino, oltre i nomi dei vari santi, avvi nel grande scomparto di mezzo, la firma dell’autore in caratteri onciali; 1908: 241 (157). Paolo Veneziano. La scheda relativa al vero e proprio polittico di Paolo è unita a quella per le tavolette di Battista da Vicenza (18-22 numerazione Ongaro), [sul margine superiore destro compare la nota a matita: A]; 1910- 1912: 157 (162). Numerazione vecchia: 241 numerazione della Commissione d’inchiesta 1908; 250 catalogo 1902 p. 54; 10 catalogo 1873; 56 catalogo a stampa del Magrini 1855 p. 57; 96 inventario di consegna 1854; 157 catalogo 1912 p. 68; 157 catalogo 1940 p. 128-129; 157 inventario 1950. Provenienza: legato del cavalier Alessandro Trissino 1849; era nella chiesa dei padri conventuali a San Lorenzo (così trova il Vignola contro l’errata affermazione del Testi - e cita a riprova G. T. Faccioli, Museum Lapidarium Vicentinum, p. II, Vicenza 1803, p. 11 n. 1 - ove infatti il Faccioli riporta l’iscrizione con la firma e la data dal pannello centrale del polittico). Collocazione: sala dei veneti antichi. Forma e incorniciatura: trittico con cornice a pinnacoli di recente fattura. Dimensioni: alto m 2.90, largo m 1.90; inventario 1950 polittico, a) Il transito della Vergine 1.12x0.77, b) San Francesco 0.89x0.23, c) Sant’Antonio 0.90x0.23. Materia e colore: tre tavole a tempera con dorature. Conservazione e restauri: fino al 1909 era contornato da sedici tavolette di Battista da Vicenza che ora sono esposte separatamente ai n. 141A e 141B di questo catalogo e ai n. 18-19-20-21-22 della guida. Sta in una custodia in noce a tre fornici ora in pannello di fustagno grigio (1957); restauro Pedrocco 1948, pulitura generale leggera, estrazione di una testa di chiodo di 1 cm e ½ di diametro nella tavola laterale con sant’Antonio, stuccatura del buco e accompagnata la pittura a vernice. Descrizione: Il transito di Maria vergine fra i santi Antonio e Francesco, segnato MCCCXXX. PAULUS DE VENETIIS PINXIT HOC OPUS. Data: 1333 catalogo 1912; 1333 catalogo 1940. Autore: Paolo da Venezia; catalogo 1912, p. 68 Paolo da Venezia; catalogo 1940, pp. 128-129 Paolo da Venezia; inventario 1950 Paolo Veneziano; il Vignola (art. cit.) ricorda che il dipinto pervenne al Museo per testamento 11 maggio 1849 del cavalier Alessandro Trissino, accettazione autorizzata con decreto delegatizio 31.12.1851, descrive detto verbale di accettazione nel quale si dice come alle tre tavolette di L.V. fossero unite sedici mezze figure piccole di cui cinque mezze perdute, il tutto unito da una cornice di un gotico moderno; la cornice moderna fu stranamente ritenuta originale da L. Testi che la riteneva del secolo XV e che non seppe separare Paolo [corretto su Lorenzo] dalle altre tavole, certo di altra mano; quando venne fatta l’unione di queste opere di diversa natura? Da San Lorenzo il polittico passò in proprietà del conte Porto Godi, poi al dottor Testa, noto dilettante antiquario, che lo vendeva al Trissino, che lo donò al Museo. Forse fu il Testa che fuse insieme le tre tavole di Paolo con le tavole di altra mano, resto di un polittico di cui si ignora con esattezza il luogo di provenienza; e qui, su queste tavole, che il Vignola considera opera di Battista da Vicenza, lo stesso Vignola formula l’ipotesi di cui alle schede 18-19-20-21-22; ricorda anche che il primo che separò giustamente la pittura di Paolo da quelle tavole aggiunte, attribuendole appunto a Battista da Vicenza, per affinità con il polittico di Sant’Agostino, fu Cavalcaselle-Crowe, Storia della pittura in Italia, vol. IV, Firenze 1887, pp. 216-217 n. 1 (e p. 281 n. 2 ove manifesta però l’idea contraria a quella del Vignola che le tavole siano state aggiunte al polittico di Paolo dallo stesso pittore vicentino, forse per la necessità di collocare il polittico sopra un altare più grande, in tale occasione forse sarà stata rifatta la cornice più grande); [segue su carta inserta: Cavalcaselle-Crowe (Storia della pittura in Italia, vol. IV, Firenze 1887, pp. 279-281) la ricorda come l’opera prima che si conosca di Paolo Veneziano, vedendo che essa coincide con quella ricordata dal Morelli: “questa composizione ha maniera tutta bizantina” dice circa il Transito della Madonna, come si rileva dalle figure di forme scarne ed esili (...). La maniera italiana è più manifesta negli angeli della gloria e più ancora nel tipo del Salvatore... sia pei movimenti... facili e naturali, sia perché le figure non hanno nello sguardo la fissità tutta bizantina delle altre (...). Nell’insieme la pittura difetta di luce come di rilievo ed i contorni sono fortemente segnati. Gli stessi caratteri si scorgono nelle due parti laterali”. Pensa anche lui il dipinto come proveniente dalla chiesa di San Francesco in Vicenza, sulla scorta del Morelli]. Bibliografia: Laudedeo Testi, Storia della pittura veneziana, pag. 188-190; F.N. Vignola, Appunti sulla pinacoteca vicentina, III Bollettino del Museo Civico di Vicenza, fascc. III e IV, 1910, pp. 25-27; Fiocco 1931: Dedalo, Le primizie di M. Paolo; Pallucchini ***; Berenson 1932 (traduzione 1936 Cecchi), Pitture italiane del Rinascimento; Coletti 1931, L’Arte, Il polittico di Chioggia; Lorenzetti 1926, Venezia e il suo estuario; Sandberg Vavalà 1930, The Burlington Magazine; Lionello Venturi 1907, Origini della pittura veneta; Testi L. 1909, Le origini della pittura veneta; Caffi M. 1888, Archivio Veneto, vol. XXXV, Venezia del 1300; Von Hadeln 1910, recensione al Testi in 1 volume Repertorium fur Konig; Arslan 1929, Belvedere, Una Madonna di M. Paolo; Longhi 1946, Viatico della pittura veneziana (vedi alla voce autore). Iconografia: foto Alinari n. 44483; nell’articolo citato di N. Vignola appare la foto del dipinto con aggiunte le tavole di Battista; nel catalogo 1912, p. 169, appare il dipinto senza più le tavole ma sempre entro la stessa cornice tardo-gotica, ove le tavole sono state tolte per sostituirvi elementi di decorazione. La cornice è ora nei depositi del Museo; il catalogo 1940, p. 128, lo mostra con la più semplice cornice in noce.

Descrizione tecnica

Le tre tavole costituiscono la parte superstite di un polittico smembrato e disperso, collocato in origine sull’altar maggiore della chiesa francescana di San Lorenzo a Vicenza, all’interno della cappella dedicata all’Assunzione della Vergine, patronato dei Porto dal 1289. L’ipotesi di una diversa collocazione dell’ancona, su un altare laterale della chiesa, come quello dedicato a san Francesco, sostenuta dal Gardner (1981) a motivo delle ridotte dimensioni del dipinto, è smentita dalle carte dell’archivio conventuale (Sartori, 1986). Dai documenti editi in quella sede si apprende che il polittico, “accomodato” nella struttura lignea il 18 aprile 1586 (Sartori, 1986, II/2, p. 2328, n. 76), veniva nel 1588 trasferito dall’altar maggiore su una parete del refettorio (ib., p. 2328, n. 77), dove, per meglio sostenerlo, il 29 novembre dello stesso anno venivano conficcati nel muro sei ferri (ib., p. 2328, n. 78); passava quindi, in epoca imprecisata, nella sacrestia, dove lo ricorda un inventario del 1613 (ib., p. 2331, n. 111), mentre più genericamente nella “basilica di S. Lorenzo” lo cita il Faccioli nella seconda edizione del Museum lapidarium vicentinum (1803), emendando una dimenticanza occorsa nella prima edizione del volume (1776). In proposito il Della Valle (1794) parla, fraintendendo, di sacrestia della chiesa di san Francesco, seguito nell’errore da Morelli (1800), Rosini (1840), Cavalcaselle (1887) e ancora da Testi (1909), che sull’argomento entrerà in aspra polemica con il Vignola, cui spetta invece il chiarimento dell’equivoco (1910). Con le soppressioni napoleoniche e la dispersione dei beni della chiesa, l’ancona pervenne nel 1797 in possesso della famiglia Porto Godi, si ignora se ancora integra o già smembrata e manomessa. In casa Porto Godi, dimenticata in un ripostiglio dietro un grande armadio, l’opera fu insperatamente recuperata da Leonardo Trissino e Leopoldo Cicognara, incaricati nel 1820 dell’inventario dei quadri del defunto conte Girolamo. Donata dalla contessa Maddalena, vedova di quest’ultimo, a Francesco Testa, fu da questi venduta a Leonardo Trissino, da cui passò all’erede Alessandro Trissino che la lasciava alle raccolte civiche vicentine con legato testamentario l’11 maggio 1849.

Sull’assetto del polittico getta qualche luce una memoria anonima del XVII secolo (Sartori, 1986, II/2, p. 2337, n. 156), secondo cui nella tavola dipinta “nel 1333 da Paolo da Venezia” si ammiravano “il felicissimo passaggio di Nostra Signora al Cielo, e da una parte, e dall’altra […] l’Imagini di S. Michele Arcangelo, ed altri nove tra Santi, e Sante”. Il passo citato, per quanto riferito ad una situazione più tarda, unito alla considerazione dei rapporti dimensionali delle tavole superstiti, lascia supporre che si trattasse in origine di un’ancona ad un solo registro, con dieci effigi di santi a figura intera collocati parattatticamente ai lati della Dormitio Virginis e possibili elementi di coronamento non espressamente ricordati dal documento o perduti - sul tipo cioè dei polittici paoleschi di Pirano o di Arbe, ma con misure leggermente superiori -, mentre non sussistono elementi per ipotizzare l’identità e l’ordine di successione dei santi, ad eccezione di san Michele, che doveva occupare credibilmente una posizione distinta all’interno del complesso.

In epoca imprecisata ma comunque anteriore al 1820, come attesta la descrizione fornita dal manoscritto Trissino all’incirca di quella data, i tre pannelli di Paolo Veneziano furono assemblati e racchiusi entro una fastosa cornice goticheggiante insieme a sedici tavolette raffiguranti mezze figure di santi, di mano di Battista da Vicenza, provenienti da un disperso polittico (cat. 9 A 18-22). Così pervennero al Museo, secondo il Decreto Delegatizio di accettazione del legato in data 31.12.1851, montati in un’unica “ancona piramidale a 11 scomparti” e otto tavolette a guisa di predella, come riporta l’inventario Minozzi (1902). L’arbitrario assemblaggio, spia dei fraindimenti o dei gusti dell’epoca, fu denunciato per la prima volta da Cavalcaselle-Crowe (1887), che distinsero e correttamente attribuirono le diverse parti del complesso. Conservatosi inalterato fino al 1910, come mostra una fotografia edita in quell’anno da Vignola, l’insieme venne successivamente smembrato e le tre tavole paolesche compaiono per la prima volta in un allestimento autonomo nel catalogo di Ongaro (1912), racchiuse entro una cornice neogotica a tre fornici. Rimossa a sua volta anche questa incorniciatura, furono apposte ai singoli dipinti semplici profilature a gola dorate, come attesta la riproduzione fotografica del catalogo di Fasolo (1940), per arrivare infine alla sistemazione dei tre elementi su un pannello di fustagno grigio, secondo quanto riportato dagli aggiornamenti delle schede Vignola all’anno 1957.

Sotto il profilo iconografico lo scomparto centrale del trittico presenta abbinate la scena del transito della Vergine e quella dell’elevazione al cielo della sua anima o Assunzione. L’episodio della Dormizione, tratto dai Vangeli apocrifi (Moraldi, 1971, p. 807 sgg.) e rientrante nel ciclo delle dodici grandi feste della chiesa orientale (Passarelli, 1998, pp. 249-268), vi compare raffigurato secondo lo schema canonico bizantino, come denota il confronto con il mosaico dello stesso soggetto nel nartece della Kahrié Giami a Costantinopoli, di pochi anni precedente (1315-1320). Dietro il catafalco della Vergine circondato dagli Apostoli (in numero di undici per l’assenza di Tommaso) e da folte schiere angeliche, si erge, entro la mandorla, la figura del Cristo in atto di trattenere tra le braccia una piccola immagine avvolta in bianche fasce, simboleggiante l’anima di Maria bambina che, staccatasi dal corpo, rinasce attraverso la morte all’eternità. Nel registro superiore, separato da quello sottostante dalla pausa dell’iscrizione ASU(N)CIO VIRGINIS MARIAE, la Vergine sale in braccio al Figlio verso il cielo in un tripudio di angeli.

Nel pannello di sinistra la figura di san Francesco, oltre a mostrare le stigmate sul dorso della mano destra e sul costato, tiene aperto con la sinistra un volume in cui si legge la scritta “Ego enim Stigmata Domini Ihesu Kristi Corpore meo porto”, volta a proporre la propria immagine come “alter Christus” ed evidentemente allusiva alla polemica sulle stigmate, ancora attuale in quegli anni soprattutto con i domenicani; mentre, sulla pagina destra del volume, la scritta “Gratia Domini Nostri Ihesu Xristi cum Spiritu Vestro Fratres Amatissimi Quibus(?) Hanc Regulam Secuti fuerint Paxs […]”, non compiutamente leggibile a causa di una caduta di colore nella zona inferiore, potrebbe alludere, secondo un’ipotesi bisognosa però di conferme, a circostanze e personaggi connessi con la committenza del dipinto (Lucco², 1992, pp. 277-278).

Firmato e datato 1333 nella tavola centrale sul bordo del suppedaneo sotto il catafalco, il polittico vicentino costituisce la prima opera documentata dell’attività di Paolo Veneziano e rappresenta un fondamentale caposaldo del suo percorso stilistico. In essa l’artista, non ancora quarantenne, forte di una superlativa padronanza e maturità dei mezzi espressivi, coniuga in una inedita sintesi figurativa arte bizantina paleologa e cultura occidentale giottesca. Schemi iconografici e astrazioni stilistiche squisitamente decorative di stampo bizantino si conciliano in mirabile equilibrio con istanze gotiche di verità e realtà di rappresentazione, “suggestioni di astrattezze lontane e vivezza dell’attualità e della storia” convivono in un’“ambivalenza carica di un fascino sottile” (D’Arcais, 1992).

La preziosità smaltata del colore dello scomparto centrale, di gusto miniaturistico, coesiste con la timida tornitura chiaroscurale in funzione volumetrica che costruisce i sai dei due santi, conferendo loro peso e pannoso spessore; le mani adunche e sproporzionate dei santi si abbinano in singolare unione con i loro volti intensi e sensitivi o si piegano a gesti di inatteso realismo, come quello di sant’Antonio, che trattiene con le dita il lembo dell’ampia manica, provocando un movimento di pieghe che dalla spalla giunge fino al polso. Moduli e stilemi bizantini risultano tradotti con morbida fluidità di linee, di inflessione gotica, come nel sinuoso bordo della coperta del cataletto o nell’orlo della veste della Vergine, secondo un orientamento stilistico destinato a confermarsi ed arricchirsi in termini di ricercata preziosità nelle opere a venire, ma già attestato in quegli anni da un passo della nota di Oliviero Forzetta del 1335, che documenta il possesso - e forse l’esecuzione - da parte di Paolo di due disegni della Morte della Vergine e della Morte di san Francesco tratti da tele dipinte “ad modum Theotonicum”, vale a dire alla maniera gotica (Gargan, 1992, pp. 507 e 513).

La complessa maturità dell’opera richiama il problema della formazione e della produzione giovanile di Paolo, questione tra le più controverse e dibattute dalla critica, fino alla recentissima mostra dedicata al pittore (Rimini, 2002). Su un esordio in chiave giottesco-riminese concorda sostanzialmente la maggior parte degli studiosi (Sandberg Vavalà, Fiocco, Bettini, Coletti, Longhi, Pallucchini, Flores D’Arcais), mentre su una partenza esclusivamente paleologa insiste Lazareff, seguito nella sostanza da Muraro, che considera il polittico di Vicenza la prima opera dell’artista e il suo momento più bizantineggiante. Tra i precedenti del capolsaldo vicentino, dopo ricorrenti aggiunte e sottrazioni al catalogo giovanile del maestro, la letteratura più aggiornata (D’Arcais, 2002) annovera il Paliotto del Beato Leone Bembo, oggi a Dignano d’Istria, datato 1321, le tavolette con Storie della Vergine del Museo Civico di Pesaro, esemplate sugli affreschi della Cappella degli Scrovegni e quella con Storie di sant’Orsola degli Uffizi (e quelle dello stesso soggetto del paliotto già Queiroy), l’altarolo portatile della Galleria Nazionale di Parma, opere tutte in cui traspare evidente, nelle ricerche spaziali, nelle inflessioni sentimentali e nelle scelte iconografiche, la conoscenza della lezione giottesca mediata dalla cultura emiliana. Dalla recente ricostruzione degli esordi dell’artista risultano espunti il Tritticodi santa Chiara del Museo civico di Trieste e, convincentemente, il dossale con la Madonna con il Bambino e storie della sua vita della chiesa veneziana di San Pantalon, che peraltro presenta tra le scene raffigurate nelle ante laterali una Dormitio Virginis vicinissima sotto il profilo iconografico a quella vicentina.

La “svolta paleologa” di Paolo all’altezza del terzo decennio del trecento, tanto evidente da far supporre a molti studiosi (Fiocco, 1930-1931, p. 894; Bettini, 1933, p. 67, n. 1; Berenson, 1936, p. 359; Muraro, 1969, p. 12) un viaggio dell’artista a Costantinopoli, è stata intesa da altri (Lazareff, 1954, pp. 85-86; Pallucchini 1964) come convinta adesione da parte del maestro ai nuovi indirizzi del gusto nella Venezia del terzo-quarto decennio del secolo XIV, orientati verso un rinnovato recupero della cultura bizantina del periodo dei Paleologhi, nota attraverso icone e forse miniature.

Giunta a Vicenza attraverso i canali della committenza francescana (Bourdua, 1992), forse insieme (Lucco², 1992, p. 543) ad una perduta Morte di san Francesco recante la firma del maestro e la data 1333, testimoniata nella collezione del conte vicentino Girolamo Gualdo nel 1650 (Puppi, 1972, pp. 8-9), l’opera segna la prima tappa della diffusione della cultura lagunare nell’entroterra veneto. La sostanziale estraneità del dipinto al contesto figurativo locale, in termini sia di eccellenza che di stile, risalirebbe per Lucco³ (1992, p. 278) ad una “accentuazione di venezianità” del suo linguaggio, intenzionalmente adottata dall’artista quale cifra connotante e facilmente riconoscibile in un prodotto di destinazione provinciale. Sulla scia tracciata dall’avamposto paolesco seguiranno nella stessa Vicenza, a distanza di pochi decenni, il polittico di Lorenzo Veneziano per la cappella Proti in Duomo (1366) e quello perduto di Jacobello di Bonomo (1375), già sull’altare Garzadori della distrutta chiesa agostiniana di San Michele, a conferma del favore incontrato dalla pittura veneziana in terra berica.

Le buone condizioni di conservazione delle tre tavole, nonostante le travagliate vicende subite, favoriscono l’apprezzamento delle superlative qualità pittoriche e tecniche dell’opera, evidenti nella morbida dolcezza degli impasti coloristici e nelle raffinatissime modulazioni cromatiche, stampate sullo splendore temperato dell’oro e circoscritte da musicali ritmi lineari. Alla definizione del capolavoro in termini di suntuosità concorre la ricchezza dei materiali impiegati, dal lapislazzuli abbinato allo smaltino - che registra qui il più antico uso documentato - del cielo dell’Assunzione, su cui spiccano le silhouettes guizzanti degli angeli tracciate a biacca e oro, all’oro steso sull’intera veste del Cristo, in luogo delle tradizionali lumeggiature, increspato da sottili rabeschi di pieghe realizzate a bulino, che ne fanno vibrare la superficie, secondo una tecnica rara quanto virtuosistica.

Bibliografia

Vasari-Della Valle, 1794, pp. 107-108; Morelli, 1800, p. 222; Faccioli, 1803, p. 11; Trissino, ms. 1820 circa; Lanzi, 1831, VI, p.14; Ticozzi, 1832, III, pp. 96-97; Rosini, 1840, pp. 143, 144, 149, n. 2; De Boni, 1852, p. 745; Magrini, 1855, p. 57, n. 56; Cabianca-Lampertico, 1861, p. 247; Catalogo dei doni…, 1866, p. 4; Formenton, 1867, p. 343; Ciscato, 1870, pp. 86-87; Elenco dei principali…, 1881, pp. 5-6, n. 36; Cavalcaselle-Crowe, 1887, IV, pp. 279-281; Caffi, 1888, p. 66; Burckhardt, 1892, p. 538; Burckhardt, 1901, II, parte III, p. 628; Molmenti, 1903, p. 131; Venturi A., 1906, IV, p. 19; Venturi A., 1907, V, p. 930; Venturi L., 1907, pp. 18-19; Testi, 1909, I, pp. 188-192; Vignola³, 1910, pp. 25-27; Ongaro, 1912, p. 68 (per la prima volta il polittico viene presentato senza le tavolette di Battista da Vicenza); Phillips, 1912, p. 19; Fiocco, 1915, p. 471; Testi, 1915, II, pp. 728-729; Bortolan-Rumor, 1919, p. 152; Van Marle, 1924, IV, pp. 5, 7, 9, 15; Planiscig, 1926, p. 21; Arslan, 1929, p. 5; Sandberg-Vavalà, 1930, pp. 160, 171, 177; Fiocco, 1930-1931, pp. 880, 884, 888; Berenson¹, 1932, p. 419; Gronau², 1932, p. 214; Arslan, 1934, pp. 11, 20; Bettini, 1934, p. 475; Berenson, 1936, p. 360; Lavagnino, 1936, p. 711; Bettini, 1940, pp. 100-101; Fasolo, 1940, pp. 128-129; Mortari, 1945, p. 228; Pallucchini A., 1945, p. 6; Pallucchini, 1945, p. 19 n.1; Guthrie, 1946, p. 20; Pallucchini¹, in I capolavori…, 1946, p. 26, n. 51; Pallucchini², in I capolavori…,1946, p. 49 n. 51; Coletti, 1947, pp. LI-LII; Pallucchini, in Trèsors de…, 1947, p. 19, n. 1; Magagnato¹, 1949, p. 101; Di Carpegna, 1951, p. 60; Toesca, 1951, pp. 707-708; Barbieri, 1952, p. 8; Di Carpegna, 1952, IX, pp. 747-749; Lavagnino, 1952, p. 368; Trésors d’art…, 1952, s.p., n. 234; Barbieri³, 1953, p. 34;Cleveringa-Meijer, 1953, p. 61; Magagnato, 1953, p. 172; Pallucchini, 1953, p. 196; Barbieri, 1954, p. 171; Lazareff, 1954, pp. 82, 83, 86, 88; Valsecchi¹, 1954, pp. 23- 24, 30, tv. 4; Pallucchini, 1955, pp. 81-82; Arslan, 1956, p. 123, n. 820; Barbieri-Magagnato, 1956, p. 172; Coletti, 1956, p. 132 (richiami ai mosaici siciliani di Palermo e Monreale); Pallucchini, 1956, p. 134; Berenson, 1957, I, p. 129; Berenson, 1958, I, p. 133, De Logu, 1958, pp. 17, 221; Mantese, 1958, III, parte I, p. 605; Rosci, 1959, pp. 93-94; Walcher Casotti, 1961, p. 5; Barbieri, 1962, I, pp. 196-200; Bonicatti, 1963, p. 8; Francastel, 1963, p. 191; Pallucchini, 1964, pp. 30-31; Lazareff, 1966, p. 120; Muraro, 1969, pp. 27, 29, 35-39, 41-44, 76 n. 3, 81 n. 77, 82 n. 94, 86, 90-91, 124, 127, 131, 139, 142, 153-155, 158, tvv. 21-24, ill. 154; Dunford, 1975, pp. 287-289; Gardner, 1981, p. 36 nn. 24-25; Ballarin An., 1982, p. 60; Lucco¹, 1986, I, p. 127; Lucco², 1986, II, p. 648; Sartori, 1986, II/2, p. 2328 nn. 76-78, p. 2331 n. 111, p. 2337 n. 156; Travi, in Pinacoteca di Brera…, 1990, p. 201; Bourdua, 1992, II, p. 477; D’Arcais, 1992, pp. 25, 29; Gargan, 1992, p. 513; Lucco², 1992, pp. 543-544; Lucco³, 1992, pp. 276-278; Zava Boccazzi, 1993, pp. 139-140; Binotto, in Ritratti…, 1995, pp. 13-16; D’Arcais, 1998, pp. 156-157; Fossaluzza, in Da Paolo…, 2000, pp. 38- 43, cat. 2; Valcanover- Fossaluzza, 2000, pp. 20-21; D’Arcais, 2002, pp. 22- 24, cat. 48; Villa, 2002, pp. 14, 16-17.

Esposizioni

Venezia, 1945, p. 19, cat. 1; Venezia, 1946, p. 26, cat. 51; Losanna, 1947, p. 51, cat. 1; Parigi, 1952, s.p., cat. 234; Bruxelles, 1953, p. 61, cat. 114 (proveniente dalla chiesa di San Francesco di Vicenza); Venezia, 2000, pp. 38-43, cat. 2.

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