Effigie commemorativa di Giovanni di Giorgio Emo

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AutoreAntonio Rizzo e bottega
Periodo(ante 1440 - ?, circa 1499)
SupportoPietra, 217x75x46
InventarioS 2
Autore della schedaAnne Markham Schulz

La statua, probabilmente scolpita in una pietra calcarea che potremmo forse identificare come pietra d’Istria, ritrae il provveditore Giovanni di Giorgio Emo, esponente di una nobile famiglia veneziana.

Emo ricoprì più volte la carica di senatore, in qualità di ambasciatore fu poi inviato in Ungheria, a Costantinopoli e a Firenze, e in seguito venne nominato provveditore generale nella guerra contro Ferrara. Morì nel 1483 a causa di una ferita riportata in battaglia.

L’effigie del provveditore, non finita nella parte posteriore, faceva originariamente parte della tomba a lui dedicata, collocata nella cappella dei santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista nella chiesa di Santa Maria dei Servi a Venezia ed eseguita entro il 1493. Nel 1810 la chiesa e il convento ad essa annesso furono soppressi e nel 1812 l’intero complesso monumentale venne distrutto. Privata della sua collocazione originaria, la statua venne acquistata, nel 1818, dal nobile vicentino Girolamo Egidio Di Velo e alla sua morte confluì, insieme agli altri pezzi della sua personale collezione, nelle raccolte del Museo civico.

Il sarcofago su cui un tempo poggiava la statua e l’intera struttura architettonica del monumento funebre, probabilmente progettata da Tullio Lombardo, sono andati perduti. Il cassone in pietra (S 1) su cui oggi è collocata l’effigie del provveditore non fa parte pertanto del complesso originale.

Colpisce l’espressione corrucciata di Emo: le sopracciglia aggrottate e il taglio degli occhi sono elementi tipici dello stile di Antonio Rizzo, autore della testa della statua. È possibile invece che il resto del corpo sia stato realizzato da un artista della bottega dello scultore veronese.

Provenienza

Venezia, chiesa di Santa Maria dei Servi, fino al 1812; acquisto Girolamo Egidio Di Velo, Vicenza 1818; legato Girolamo Egidio Di Velo, Vicenza 1831

Restauri

1998, Paolo Bacchin

Inventari

[1831]: 151. Statua di doge veneto. Lire 80; 152. Urna sepolcrale e piedestalli. Lire 70; 1902: c. 124, 64. Pietra viva. Urna funeraria sulla quale credesi posasse la statua del senatore Giovanni Emo; vedi n. 86. Dalla chiesa di Santa Maria dei Servi, Venezia. Monumento che in origine esisteva nella chiesa di Santa Maria dei Servi di Venezia; per la figura del personaggio titolare vedere n. 86; c. 126, 86. Pietra d’Idria. Statua del senatore Giovanni Emo; [tutto depennato stile dei fratelli Lombardi]; la statua un tempo era policromata, vedi anche n. 64. Dono del conte Girolamo Egidio Di Velo. Apparteneva al monumento eretto a Giovanni Emo nella chiesa di Santa Maria dei Servi in Venezia di cui esiste un disegno nella raccolta Grevembroch nel Museo civico di Venezia; altre parti del monumento andarono perdute meno i due [depennato putti] tenenti scudo scolpiti da Antonio Rizzo che furono acquistati da madama André di Parigi; [1954]: E II 29. Monumento funerario in pietra a Giovanni Emo; il monumento è mutilo, poiché la parte della sua struttura architettonica andò distrutta; attualmente consiste in una urna funeraria scolpita, con sovrapposta statua del defunto eretta; la statua è opera di Antonio Rizzo. Dono conte Egidio di Velo. Cm 217 di altezza x cm 75 di lunghezza (statua); cm 228x71x73 misura della cassa [a matita Fasolo 1940, 168].

Descrizione tecnica

La statua di Emo è assai probabilmente scolpita in pietra calcarea (pietra d’Istria?). Una fessurazione che attraversa in profondità tutta la statua dalla sommità della sua spalla destra fino all’orlo del mantello e che passa attraverso la mezzeria dell’avambraccio destro, ha danneggiato la parte superiore del braccio; probabilmente tutta la parte destra della scultura è stata in origine spezzata e riassemblata. Metà del braccio sinistro di Emo è rotto. La statua è piatta e non finita sul retro. L’ultimo restauro, con conseguente pulitura, è della primavera del 1999.

Giovanni di Giorgio Emo nacque da una famiglia del patriziato veneziano nel 1425. Presso la Signoria occupò la carica di senatore e fu inviato come ambasciatore in Ungheria, a Costantinopoli e a Firenze. Dopo la morte di Antonio Loredan nel 1482, Emo gli successe come provveditore generale nella guerra contro Ferrara. Sotto il suo comando la conquista del Polesine fu rapidamente conclusa con la presa di Lendinara e di Badia. Nel corso della battaglia di Stellata - nel settembre 1483 - Emo fu ferito in una caduta da cavallo e morì il 15 dello stesso mese. Per la somiglianza con la sua statua si è potuto riconoscere come un ritratto del provveditore un dipinto di Giovanni Bellini nella Galleria Nazionale di Washington (inv. K413) (Markham Schulz, 1980, pp. 7-11).

La tomba di Giovanni Emo fu montata nella cappella dei Santi Giovanni Battista e Giovanni Evangelista, quella a sinistra della maggiore nella chiesa di Santa Maria dei Servi; tale spazio fu ceduto ad Emo il 1 gennaio 1482 per collocarvi una o più sepolture della famiglia. L’iscrizione sepolcrale, ora perduta, dichiarava che il monumento era stato eretto dopo la morte del capitano dai suoi cinque figli, Giorgio, Bertuccio, Leonardo, Pietro e Gabriele. Era compiuto entro il 1493, quando fu ricordato da Marin Sanudo nella Cronichetta; nessun dato esterno, tuttavia, permette una datazione più precisa all’interno del decennio che intercorre tra la morte di Emo e la citazione del memorialista (Markham Schulz1, 1983).

La tomba Emo rimase in situ fino alla soppressione della chiesa e del convento servita il 25 aprile 1810 e alla conseguente demolizione della chiesa nel 1812. Nel 1818 la statua del provveditore fu acquistata dal vicentino Girolamo Egidio Di Velo per la villa di famiglia a Velo. Alla sua morte passò al Museo civico, insieme ad altre opere d’arte, per legato del conte.

Un acquerello di Johannes Grevembroch (Grevembroch, Monumenta Veneta…, BMCVe, ms. Gradenigo 228, III, 1759, c. 27), della metà del settecento, ci ha tramandato l’immagine della tomba con l’effigie di Emo in piedi al centro del monumento dove la statua stava sopra un sarcofago diverso, in molti particolari, da quello sul quale è ora collocata a Vicenza: il cassone originale è probabilmente andato perduto. Anche la struttura architettonica che incorniciava l’effigie e il cui progetto è stato di recente attribuito a Tullio Lombardo (Markham Schulz1, 1983, pp. 77-78), è perduta. I due paggi reggiscudo, che in origine fiancheggiavano l’edicola, sono ora conservati al Louvre e furono scolpiti da Rizzo stesso e l’altro da un aiuto nella sua bottega (sono ora conservate al Louvre inv. 1628 e 1627. Gravembroch, Gli abiti de veneziani, BMCVe, ms. Gradenigo 49, I, c. 38). Un secondo acquerello di Grevembroch dedicato alla sola statua riproduce dettagliatamente le vesti ufficiali del defunto: la berretta nera che potrebbe essere quella indossata dagli ambasciatori e una veste lunga con un mantello da generale dell’armata, fatto di un tessuto broccato d’oro su fondo giallo e trattenuto sulla spalla destra. Emo indossa il suo manto panneggiandolo intorno al braccio sinistro come se fosse una toga. Nell’acquerello sono rappresentati anche, sotto la veste, una manicha rossa e una camicia con polsini e colletto bianchi, nonostante il fatto che nella statua l’effigie non mostri alcun indumento sottostante.

La statua mostra ancora qualche traccia di policromia nella veste e nel mantello.

Il monumento Emo fu assegnato ad Antonio Rizzo nel 1889 da Alfred Gotthold Meyer; tale attribuzione, almeno per quel che riguarda l’effigie del provveditore, fu universalmente accettata, benché con la frequente ammissione dell’intervento della bottega (Markham Schulz1, 1983, p. 179). Nel 1983 assegnai la testa della figura all’artista stesso, mentre ritenevo il resto della figura di un collaboratore, forse quello responsabile del Guerriero Mocenigo e della figura femminile subito alla destra di quello nell’arco Foscari in Palazzo Ducale a Venezia. La fisionomia accigliata di Emo poté suggerire ad Andrea del Verrocchio il ritratto di Bartolomeo Colleoni di Andrea Verrocchio eseguito per il celebre monumento equestre in campo Santi Giovanni e Paolo, del quale esisteva un modello alla morte dello scultore nel 1488 (Markham Schulz1, 1983, pp. 14-15, 78-80).

La mia attribuzione del ritratto Emo ad Antonio Rizzo fu accettata da Mariacher (1983), Munman (1984) e Barbieri (1995) ma respinta da Sheard in favore di Giovanni Buora e da Wolters (1996) che trovò la statua del provveditore molto più vicina a quella di Pietro Mocenigo nella tomba costruita per il doge da Pietro Lombardo nei Santi Giovanni e Paolo. Il trattamento degli occhi e dei sopraccigli del ritratto Emo è, tuttavia, tanto peculiare dello stile personale di Rizzo da smentire queste diverse proposte attributive e confermare l’autografia dell’artista veronese.

Bibliografia

Magrini, 1855, p. 61; Fasolo, 1940, p. 45, cat. 168 (Antonio Rizzo); Barbieri, 1962, I, pp. 229-233 (Antonio Rizzo); Markham Schulz1, 1983, pp. 73-80, 177-180, cat. 17 e ad indicem, con bibliografia aggiornata al 1980, p. 178; Mariacher, 1983, p. 229; Munman, 1984, p. 468; Wolters, 1986, p. 164; Stedman Sheard, 1987, p. 477; Barbieri, 1995, p. 24; Wolters, 1996, pp. 439-440; Ericani, 1999, p. 55; Mehler, 2001, p. 11,14, 91-98, 153.

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