Madonna con il Bambino

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AutoreJacopo Tatti detto Sansovino
Periodo(Firenze 1486 – Venezia 1570)
InventarioS 269
Autore della schedaMaria Elisa Avagnina
Madonna con il bambino Jacopo Tatti detto Sansovino

Questa dolcissima Madonna si trovava in origine nella villa che l’architetto fiorentino Jacopo Sansovino aveva progettato per il nobiluomo veneziano Alvise Garzoni a Pontecasale (Pd). Passata poi in proprietà dei Donà dalle Rose, venne trasportata a Venezia dopo il 1926 e, in seguito, messa all’asta (1934) insieme agli altri pezzi della collezione di famiglia. In quell’occasione, l’opera fu acquistata dal conte Gaetano Marzotto, che poi la donò al Museo nel 1967, in ricordo della moglie, la vicentina Margherita Lamperico.

Si tratta di una terracotta ricoperta di gesso patinato di colore rossastro, realizzata da Sansovino attorno al 1555, nel pieno di quel manierismo di cui l’artista, in veste di scultore, fu uno dei protagonisti più significativi. Dolcezzae finezza si fondono qui in un’immagine di straordinaria intensità emotiva che “compone nel sereno equilibrio del capolavoro calore di sentimenti e raffinata eleganza di forme” (Avagnina).

La Madonna abbraccia teneramente il Figlio cingendolo con il braccio sinistro e sorreggendone con delicatezza il ginocchio piegato, il Bambino, estremamente realistico nelle fattezze e nelle movenze, si rivolge alla Madre reclinando il capo e intessendo con lei un intenso e muto dialogo, nato dall’incontro dei loro sguardi.

L’artista, recuperando e facendo proprie le più diverse influenze, da Donatello a Luca della Robbia, da Tiziano a Michelangelo, realizza un capolavoro, che richiama alla mente i grandi modelli della classicità.

Provenienza

Pontecasale (Pd), villa Garzoni, fino al 1926; Venezia, collezione Donà delle Rose, 1926-1934; acquisto Gaetano Marzotto, Valdagno (Vi) 1934; dono Gaetano Marzotto, Vicenza 1967 (MCVi, Museo, Doni, b. 2, fasc. “Atto di donazione conte Gaetano Marzotto”, lettera del 1967, set. 27, con cui Gaetano Marzotto comunica a Giorgio Sala, sindaco di Vicenza, l’intenzione di donare “alla città di Vicenza una scultura in terracotta […] la Madonna col Bambino, opera del Sansovino”; segue lettera del 1967, dic. 4 di Gino Barioli, direttore del Museo civico, all’Amministrazione comunale di Vicenza, in cui attesta “che, in data odierna, è entrata a far parte delle collezioni di questo Istituto la terracotta di Jacopo Sansovino Madonna col Bambino detta di Pontecasale e proveniente dalla collezione Marzotto. L’opera misura cm 138x100 ed è racchiusa in vecchia cornice di legno e cartapesta tinteggiata e dorata”; l’atto di donazione, rogato dal notaio Giuseppe Todescan, è del 7 dicembre 1967: “è intenzione del cavaliere del lavoro Gaetano Marzotto donare alla città di Vicenza, per onorare la memoria della sua sposa, Margherita Marzotto nata Lampertico, la scultura in terracotta denominata Madonna del Bambino di Jacopo Tatti detto il Sansovino”)

Inventari

[1954]: E II 342. Iacopo Tatti detto Iacopo Sansovino (Firenze 1486 - Venezia 1570) [a matita PXXI]. Madonna con il Bambino di Pontecasale. Terracotta, cm 138x100. Dono conte Gaetano Marzotto 7 dicembre 1967.

Descrizione tecnica

Il rilievo è giunto al Museo nel 1967, come dono del conte Gaetano Marzotto in ricordo della moglie Margherita Lampertico.

Proviene dalla villa Garzoni di Pontecasale (PD), realizzata dallo stesso Sansovino per il nobiluomo veneziano Alvise Garzoni alla fine del quarto decennio del secolo XVI (Howard, in Andrea Palladio…, 2005, pp. 281-282). Di questa decorava, al momento della scoperta da parte della Pittoni (1909), una delle camere da letto,“incassato nella parete interna di fronte ai letti”. Non risulta pertanto necessariamente provata, anche se possibile, la sua originaria collocazione nella cappella gentilizia del complesso, come vorrebbe Barioli (1967 e 1973) e Ballarin (1982) e resta aperta la possibilità di una sua destinazione domestica, secondo un uso delle sacre immagini a sfondo educativo-didattico che Boucher (1991, p.363) fa risalire alla Regula del beato Giovanni Dominici (1860, pp.131-132) .

Passato in proprietà dei Donà dalle Rose a Venezia dopo il 1926 e messo all’asta da questi nel 1934, insieme a tutta la collezione di famiglia, fu acquistato in quella sede da Gaetano Marzotto e trasferito a Valdagno.

Il gruppo della Vergine con il Figlio oggi nella Pinacoteca di Vicenza costituisce uno dei più ispirati e suggestivi raggiungimenti del Sansovino sul tema della Madonna con il Bambino, replicato in questa versione dell’artista, durante gli anni veneziani della sua attività, in almeno un altro esemplare in marmo, realizzato per l’amico Pietro Aretino e in una nutrita serie di rilievi in cartapesta, copie seriali da prototipi non sicuramente identificabili, prodotti con la collaborazione della bottega.

Del primo, noto attraverso l’entusiastico apprezzamento contenuto in una lettera di Francesco Marcolini del 1551 (Boucher, 1991, I, p. 204, n. 123) e andato disperso dopo il dono fattone dall’Aretino nel 1552 alla duchessa di Urbino Vittoria della Rovere, non è possibile stabilire il grado di affinità formale con il nostro rilievo, all’infuori del comune motivo dell’amoroso colloquio di sguardi riferito dalla fonte letteraria (“nel mirarsi dissi la Madre ed il suo Figlio, pare che si beono santissimamente l’un l’altro con gli occhi”). Rispetto ai secondi, riconducibili sostanzialmente a due tipologie, una con la Madonna seduta che regge il Bambino in piedi alla sua destra e un’altra che mostra la Vergine che culla il Bambino fra le braccia alla sua sinistra (Louvre, Bargello, Correr, Museo Cenedese a Vittorio Veneto, Kress collection), l’originale vicentino denuncia, pur nell’evidente affinità, un’individualità di impostazione che esclude una sua eventuale funzione di prototipo.

La Madonna, assisa, è presentata di tre quarti, con il viso e le gambe rivolti verso destra rispetto al riguardante. Stringe teneramente a sé il Figlio con il braccio sinistro, sostenendone con un gesto elegante dell’altra mano il ginocchio piegato, avvicinandolo a sé. Il Bambino, in atto di sollevarsi verso il volto della madre, reclina all’esterno il capo ricciuto per meglio intessere con lei un intenso ed esclusivo colloquio di sguardi.

La figurazione è racchiusa da una larga cornice di legno e cartapesta a finitura dorata con decoro a treccia e rosoni angolari di sapore classico, tipici del repertorio sansovinesco. Presente al momento della scoperta dell’opera da parte della Pittoni, sembra frutto di un’abile riproposizione antiquariale in stile, di epoca imprecisata e reca traccia nella profondità dei margini di un ulteriore intervento, collegato all’operazione di rinforzo del supporto mediante tavolato ligneo e traverse metalliche.

L’immagine, dolcissima ed elegante ad un tempo, richiama immediata l’elogiativo passo del Vasari a proposito del talento particolare del Sansovino nel raffigurare immagini muliebri e fanciulli (Vasari, 1568 (ed. 1906) VII, pp. 511 – 512).Controverso risulta nella letteratura sull’argomento il problema del medium del rilievo. Indicato dalla Pittoni come legno ricoperto “con gessatura dipinta di colore opaco che imita il bronzo annerito”, viene correttamente identificato come terracotta nel catalogo d’asta del 1934, da cui riprendono gli studi successivi, fino alle più recenti opinioni Foscari (2001) e Boucher (1991, II, p. 336), che dopo acune titubanze (Boucher, 1989), torna a parlare di stucco su ligneo.

Grazie a indagini radiografiche e a saggi esplorativi di recente effettuati in più punti del rilievo dalla Soprintendenza del Patrimonio storico, artistico e etnoantropologico del Veneto (1999), è possibile confermare qui che si tratta di una terracotta ricoperta di gesso patinato di colore rossastro. Brani del materiale originale e tracce della sua lavorazione traspaiono in modo più evidente, per consunzione o caduta dello strato di finitura, nella capigliatura del Bambino, sotto la spalla sinistra della Vergine o nella lacuna presente sulla veste al di sotto del braccio destro, mentre altrove, come sul suo volto o sulla gamba in vista del Bambino lo spessore della gessatura maschera l’effettiva natura del medium, spiegando il tenace fraintendimento degli studiosi. Non si è in grado al momento di indicare la data del trattamento di finitura, forse già presente in origine, ma riferibile nella forma attuale a un intervento successivo, realizzato nel tempo probabilmente per nascondere fratture o danni del materiale, non escluso nel restauro precedente l’asta del 1934.

Fin dalla sua prima pubblicazione da parte della Pittoni (1909), la critica si è trovata pressoché unanimemente concorde nel ritenere il rilievo prova autografa e di alta qualità dello scultore toscano, ad esclusione di Middeldorf (1976) e di Lewis (1982), che ritengono la Madonna di Vicenza una riproposizione - non escluso moderna!-, dell’originale già a Pontecasale, ma l’evidente fraintendimento dei due studiosi è dovuta a una mancata conoscenza diretta dell’opera, nota solo attraverso il contributo di Lorenzetti (1913), che ne riferisce imprecisamente materiale e misure (240x180 cm anziché 138x100), compuntandole insieme alla cornice.

Quanto alla cronologia dell’opera, la datazione intorno alla metà del secolo XVI, a suo tempo proposta da Laura Pittoni, è stata generalmente accettata dagli studiosi e confermata da ultimo da Boucher (1991, I, pp. 108-109), che tende ad avvicinarla all’esemplare già in possesso dell’Aretino (1551), sottolineando inoltre nell’opera la qualità straordinariamente sottile del modellato e l’arditezza degli scorci.

L’impianto compositivo piramidale del rilievo, così come l’uso della terracotta, richiamano con evidenza soluzioni tipiche della plastica toscana della prima metà del sec. XV, da Donatello a Luca della Robbia, riproponendo i dati della prima formazione dell’artista in ambito fiorentino. Accanto a questi Davis (1984, p. 35) sottolinea “l’esempio significativo della pittura veneziana e, in particolare, di Tiziano”, le cui Madonne ricordano in più di una occasione le composizioni sansoviniane, nonché l’ispirazione dei randi tondi michelangioleschi.

Ogni suggestione risulta qui comunque filtrata attraverso una disciplina formale, che denota la diretta frequentazione dell’arte classica, accostata da Sansovino durante i soggiorni romani, costante che ne precorre la produzione, riaffiorando a trqatti con più evidenza, anche a distanza di tempo, rendendo spesso ardua la datazione delle sue opere.

Così, declinata in tenera elegia d’affetti l’urgenza emotiva che anima il rapporto Madre-Figlio della donatelliana Madonna dei Pazzi, il gruppo vicentino felicemente compone nel sereno equilibrio del capolavoro calore di sentimenti e raffinata eleganza di forme.

Bibliografia

Pittoni, 1909, pp. 359-360; Lorenzetti, 1910, pp. 334-336, 338; Lorenzetti, 1913, p. 114-115; Schotmüller, 1913, p. 167,, n. 394; Planiscig, 1921, p. 383; Callegari, 1926, p. 588; Rossi, 1932, pp. 704-705; Schotmüller, 1933, p. 182, cat. 287; Lorenzetti-Planiscig, 1934, pp. 40-41, cat. 211; Weihrauch, 1935, p. 53; Weihrauch, 1938, p. 467; Mariacher, 1962, pp. 158-164; Barioli, 1967, p. 294; Barioli, in Il Gusto e la Moda…, 1973, pp. 118-122; Middeldorf, 1976, p. 75, cat. 11; Lewis, 1982, p. 163; B.B., in The Genius…, 1983, pp. 382-383, cat. 30; Davis, 1984, pp. 35-36, 44, n. 25; Ballarin An., 1982, p. 98; Boucher, 1989, pp. 37-38; Boucher, 1991, I, pp. 108-109, II, p. 336; Barbieri, 1995, pp. 76-77; Foscari, 2001, pp. 7, 9; Villa, in Palazzo Chiericati…, 2002, p. 20; Avagnina, in Andrea Palladio…, 2005, pp. 364-365, cat. 108.

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